Andy Warhol: il ritratto di Prince davanti alla Corte Suprema

da | 15 Ott 2022 | Arte e Cultura, Leggi e regolamenti

La Corte Suprema Usa è alle prese con un insolito caso giudiziario. Al centro della controversia c’è la serie di 16 ritratti serigrafati del leggendario cantante Prince, realizzata nel 1984 dal re della Pop Art, Andy Warhol.

A distanza di 38 anni, la fotografa Lynn Goldsmith, autrice dello scatto a Prince risalente al 1981, ha chiesto il pagamento dei diritti d’autore alla Fondazione Warhol, invocando la violazione del copyright. Goldsmith, nota per aver fotografato molti divi del rock, aveva immortalato Prince per ‘Newsweek’ a un concerto. Il musicista di Minneapolis era all’epoca agli albori della sua carriera e la fotografa l’aveva invitato nel suo studio dove gli aveva dato l’ombretto viola e un rossetto per accentuare la sua androgina sensualità. ‘Newsweek’ non aveva usato l’immagine di studio in bianco e nero, optando per quella del concerto e la fotografa aveva conservato l’altra foto nei suoi archivi per una possibile diversa pubblicazione.

Nel 1984, quando l’album ‘Purple Rain’ aveva catapultato Prince al rango di star internazionale, ‘Vanity Fair’ aveva commissionato a Warhol un’illustrazione per un articolo chiedendogli di usare come punto di partenza una delle foto di Goldsmith. La rivista aveva pagato alla fotografa 400 dollari di diritti d’autore con l’impegno di usare la foto solo in quella occasione. Ma, ad accendere la controversia è stata la decisione dell’artista di utilizzare la stessa fotografia per realizzare una serie di 16 ritratti del musicista, tutti con tonalità diverse.

Tuttavia, la celebre fotografa ha scoperto l’esistenza della serie solo nel 2016, alla morte di Prince, quando Vanity Fair ha pubblicato un’illustrazione del ‘Kid di Minneapolis’ che riprende lo stesso scatto, questa volta tutta arancione. Goldsmith si è messa, allora, in contatto con la Fondazione Andy Warhol, che ne gestisce la collezione e che per quella pubblicazione aveva percepito 10.250 dollari. La fondazione ha immediatamente intrapreso un’azione legale per far riconoscere i suoi diritti esclusivi sulla serie e la fotografa ha contrattaccato.

Il caso, giunto davanti alla Corte Suprema, potrebbe avere vaste ripercussioni sulle norme Usa che regolano il copyright e sull’intero mondo dell’arte. Nello specifico, i togati di Washington dovranno valutare se un’opera d’arte è da ritenere “trasformativa” quando veicola un messaggio diverso dalla fonte o se appare visivamente diversa. Per le leggi americane che tutelano l’autorialità, è possibile, infatti,  copiare contenuti altrui se vengono trasformati sostanzialmente secondo una chiara intenzione creativa. In tal caso non si può parlare di copia, bensì di ispirazione. Ma se i connotati dell’immagine restano tutto sommato inalterati, allora si configura il plagio.

Gli avvocati che lavorano per conto della Andy Warhol Foundation for the Visual Arts si sono appellati al corretto esercizio del “fair use” (il diritto a utilizzare immagini altrui per rendere più espressivo il messaggio o il contenuto di un’opera), sottolineando come un’interpretazione molto restrittiva di tale principio rischi di rendere illegali molte delle opere d’arte contemporanea storicamente più significative dell’ultimo mezzo secolo. Dal canto suo, Goldsmith spera che la massima giurisdizione Usa riconosca l’opera di Warhol come “non trasformativa, quindi illegale”, ritenendo che i giudici non possono svolgere il ruolo di critici d’arte e analizzare le intenzioni e i messaggi delle opere, dovendosi accontentare di valutare le sole somiglianze visive.

Finora, i tribunali di grado inferiore alla Corte Suprema si sono divisi: nel 2019 una Corte di Manhattan ha dato ragione alla Fondazione Warhol, mentre l’anno scorso una Corte d’appello ha accolto le argomentazioni della fotografa. La sentenza finale tocca ora ai nove saggi della Corte che dovranno pronunciarsi in merito entro il 30 giugno 2023.

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