All’inizio del 2022 il MAECI ha aggiunto nel suo già complesso organigramma una nuova struttura denominata DGDPC (“Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale”) con il precipuo obiettivo di consolidare e valorizzare le potenzialità dirette ed indirette del “soft power” italiano nello sviluppo dei rapporti con l’estero del nostro Paese.
Il binomio “economia – cultura” è stato da sempre percepito all’estero come un elemento di rilievo o un “atout” importante del nostro Paese nei rapporti internazionali, pur tuttavia continuando in Italia a suscitare dubbi (se non sterili polemiche) derivanti probabilmente anche dalle difficoltà di valorizzarne l’impatto in termini di reale peso politico e di concreti ritorni finanziari.
La questione della misurazione della cultura è di tale vastità da non potere essere evidentemente sviluppata in maniera esauriente in un articolo necessariamente contenuto.
Tuttavia, anche recenti eventi quali la Fiera del Libro di Francoforte (con l’Italia come ospite d’onore) piuttosto che la “Settimana della Lingua Italiana” confermano come questo sia un tema di periodica ricorrenza e tuttora di grande attualità, così come peraltro riportato sui media in questi giorni.
Quando si affronta il tema delle risorse assegnate e delle analisi costi/benefici, o dei “ritorni” connessi ad interventi o investimenti nel campo culturale, ci troviamo esattamente nell’ambito concettuale di grande complessità sintetizzabile col termine “soft power”. A sua volta, entrano in gioco ulteriori nozioni qualitative di non semplice valutazione quantitativa, quali “indotto”, “impatto”, “dividendi sociali” piuttosto che “reputazionali” ed altri di altrettanta difficile misurazione.
Negli ultimi anni e malgrado le difficoltà emerse si sono registrati alcuni segnali che denotano una crescente sensibilità verso questa tematica e le sue potenzialità, tuttavia non ancora sufficientemente e diffusamente percepite e, quindi, non adeguatamente sfruttate.
Una testimonianza, a conferma della progressiva crescente presa di coscienza del binomio “economia-cultura” ed in particolare del ruolo attribuito alla “cultura” nei rapporti economici con l’estero, ci viene fornita dall’evoluzione registrata dall’attività di comunicazione e di marketing della SACE (l’agenzia del MEF preposta al sostegno assicurativo-finanziario delle imprese italiane attive sui mercati esteri) che, dalla sua costituzione nel lontano 1977 (Legge Ossola), è andata sviluppando una gamma di servizi sempre più sofisticati e in parte anche personalizzati, avvalendosi tra l’altro delle flessibili opportunità offerte dai costanti e rapidi progressi dell’informatica e del digitale.
Questa attività di “modernizzazione” e ricerca di dialogo con le imprese, si è arricchita di un ulteriore tassello, con la costituzione nel 2018 della struttura SACE Education. Alla comunicazione intesa come mera informazione destinata ai potenziali beneficiari degli interventi agevolativi per operare con l’estero, si è aggiunta una componente di formazione con (e per) gli stessi operatori sui mercati internazionali. Attività che si è andata rapidamente arricchendo attraverso accordi di collaborazione con Associazioni di categoria o altre Istituzioni, con Università e centri di formazione e ricerca esterni, con la messa disposizione delle imprese interessate di schede Paese (contenenti dati e informazioni di carattere geo-politico e geo-economico a livello macro e micro), l’organizzazione di eventi su singole aree geografiche o paesi (“Country Presentation”) nonchè approfondimenti su determinate tematiche di carattere generale o settoriale.
A tutto ciò si è affiancato un rafforzamento dei rapporti con la rete delle Camere di commercio italiane all’estero nonché con le diverse associazioni di amicizia bilaterali con l’Italia, realtà che generalmente rappresentano luoghi di incontro e di dialogo aperto e costruttivo tra imprenditori italiani e locali con preziosi scambi di esperienze anche nel campo culturale, oltre che politico-economico.
Non a caso, e proprio partendo dalla sua passata esperienza come presidente di Assocamerestero, Piero Bassetti ha avuto modo di elaborare un suo originale pensiero sull’esistenza e l’importanza della cultura italica e della esistenza dei c.d. cittadini italici, auspicando la loro progressiva aggregazione in una community globale che superi gli antiquati confini territoriali. Si tratta di individui che, pur non essendo per forza italiani, tuttavia conoscono e condividono i valori fondanti della nostra millenaria civiltà consentendo così di superare le diversità di lingua, di nazionalità, ed altro, per favorire un dialogo basato sul superamento degli ostacoli e dei rischi rappresentati dai confini culturali, così come già ampiamente riportato negli articoli raccolti in una apposita sezione su questo giornale. Una realtà, quella degli “Italicità”, la cui analisi sistematica e generale consentirebbe di aggiungere elementi certamente innovativi sia per lo studio del soft power italiano, sia anche per aggiornare le tradizionali visioni di realtà quali “l’emigrazione dei decenni passati e gli italo discendenti”, “la nuova emigrazione soprattutto dei giovani e dei cervelli”, “l’integrazione degli immigrati legali”, “le nuove forme di cittadinanza”.
Tra le conseguenze dirette ed indirette derivanti dai vari conflitti in atto sul nostro Pianeta si coglie sempre più l’importanza in tema di commercio internazionale, specialmente per un paese trasformatore come il nostro, delle importazioni e della sicurezza degli approvvigionamenti. Questi vanno garantiti sempre più non solo attraverso accordi di lungo periodo, ma anche assicurandosi che siano effettivamente di reciproco interesse e puntando a costruire un’attenta e adeguata diversificazione dei propri paesi fornitori piuttosto che acquirenti.
Tuttavia, non è ancora sufficientemente percepita l’importanza del conoscere ed apprezzare (inteso anche in termini di valutazione quantificabile) le differenze di ogni tipo e, quindi, anche quelle di carattere “culturale” al fine di individuare soluzioni atte a mitigarne o neutralizzarne le conseguenze se non addirittura trovare il modo per valorizzarne la complementarietà come risultato di una proficua ibridazione.
Ed è proprio in questo contesto che negli ultimi due anni si è registrato un ulteriore salto qualitativo nelle relazioni tra SACE ed operatori. Partendo dalla saggezza universalmente condivisa di certi proverbi popolari come il detto “paese che vai, usanze che trovi” e facendo propria una frase del poeta magiaro-canadese Robert Zend che osservava come “le persone hanno una cosa in comune: sono tutte differenti” si è ritenuto opportuno evidenziare, studiandole e valorizzandole a proprio beneficio, le diversità nelle “regole” esistenti nei diversi contesti territoriali. “Regole” non più solo intese, quindi, come dirette derivate da leggi, norme o procedure amministrative (ad es. le pratiche doganali) bensì “regole non scritte”, declinate in maniera più estesa e comprendenti anche gli usi e costumi di una determinata civiltà e di ciascun paese: le abitudini, i comportamenti, le diverse maniere di pensare o interpretare fenomeni o situazioni specifiche in contesti culturali diversi.
Partendo dalla considerazione, se non dall’apparente paradosso, che è proprio la diversità che accomuna e crea opportunità di dialogo ed interrelazione, a fianco dei tradizionali “Country Reports” si è iniziato a produrre delle schede-paese incentrate su un concetto del tutto nuovo nel gergo operativo della finanza e dell’economia, vale a dire la “Business Etiquette”.
Si tratta di una sorta di raccolta di regole non normate, di “galateo sulla cultura locale” della vita quotidiana così come dei rapporti di lavoro o di business che consente di facilitare una negoziazione di successo, evitando potenziali malintesi e fornisce, nel contempo, indicazioni e consigli utili su come comportarsi in un paese estero. Il tutto per facilitare la comprensione delle differenze e farsi capire, creando in questo modo le basi per stabilire dei rapporti di fiducia reciproca (garantendo, così, maggiore stabilità e una relazione destinata a durare nel tempo) anche tra soggetti culturalmente assai diversi.
Di nuovo l’elemento culturale, inteso in questo caso come capacità di interpretazione e di gestione delle differenze, entra a fare parte di una valutazione di carattere economico-finanziario e di gradazione della rischiosità assumibile (nonché di misurazione del costo della garanzia o polizza assicurativa eventualmente offerta).
Il passaggio dall’informazione alla formazione ed alla consapevolezza, avvalendosi anche di un crescente e proficuo “dialogo” e scambio di esperienze tra pubblico e privato, tra operatori economici e Istituzioni, rappresentano tasselli importanti per dare contenuti e concretezza alle grandi potenzialità del soft power quantificando, nella misura del possibile, il binomio “economia-cultura”.
Oramai, nei rapporti con l’estero, i protagonisti siano essi pubblici che privati hanno successo se danno prova di aver compreso che la complessità dei fenomeni interconnessi spingono ad affrontare le varie crisi che di volta in volta si presentano con ottica sia “geo-politica” che “geo-economica”. Ma è giunto il momento, proprio per l’incertezza crescente, di includere nelle riflessioni da fare e nelle decisioni da prendere anche una terza modalità di conoscenza e soluzione resa possibile dall’approccio proprio della “geo-cultura”.
* Carlo Barbieri – esperto di relazioni internazionali, già docente di Geoeconomia presso UNINT Roma, socio fondatore dell’Associazione “Svegliamoci Italici”
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