Scoperto a Pompei un panificio prigione, dove persone ridotte in schiavitù e asini erano rinchiusi e sfruttati per macinare il grano necessario a produrre il pane. Un ambiente angusto e senza affaccio esterno, solo qualche piccola finestra con grate in ferro per il passaggio della luce. Nel pavimento poi intagli per coordinare il movimento degli animali, costretti a girare per ore con occhi bendati. L’impianto è emerso nella Regio IX, insula 10, dove sono in corso scavi nell’ambito di un più ampio progetto di messa in sicurezza e manutenzione.
La scoperta
Un’abitazione suddivisa in un settore residenziale decorato con raffinati affreschi di IV stile, e un quartiere produttivo destinato in questo caso alla panificazione. In uno degli ambienti dell’edificio, erano già emerse nei mesi scorsi tre vittime, a conferma che nonostante la ristrutturazione in corso, la dimora fosse tutt’altro che disabitata. Una testimonianza del lavoro massacrante a cui erano sottoposti uomini, donne e animali negli antichi mulini-panifici, è in uno dei racconti e fonte d’eccezione: le Metamorfosi IX 11-13 di Apuleio. Lo scrittore infatti racconta l’esperienza del protagonista, Lucio, trasformato in asino e venduto a un mugnaio, evidentemente sulla base di una conoscenza diretta di contesti simili.
“Uno spazio riservato allo status servile”
Le nuove scoperte rendono possibile descrivere meglio anche il funzionamento dell’impianto produttivo in disuso al momento dell’eruzione del 79 dopo Cristo. Il settore messo in luce è privo di comunicazioni con l’esterno, l’unica uscita dà sull’atrio, e nemmeno la stalla possiede un accesso stradale come frequente in altri casi. “Si tratta, in altre parole, di uno spazio in cui dobbiamo immaginare la presenza di persone di status servile di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di movimento – fa notare il direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel, in un articolo scientifico pubblicato sull’e-journal degli scavi di Pompei. – È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, quello privo di rapporti di fiducia e promesse di manomissione, dove ci si riduceva alla bruta violenza, impressione che è pienamente confermata dalla chiusura delle poche finestre con grate di ferro”.
Il funzionamento del panificio-prigione
La zona delle macine, nella parte meridionale dell’ambiente centrale, è adiacente alla stalla, caratterizzata dalla presenza di una lunga mangiatoia. Attorno alle macine si individua una serie di incavi semicircolari nelle lastre di basalto vulcanico. Data la forte resistenza del materiale, è verosimile che quelle che a prima vista potrebbero sembrare delle impronte siano in realtà intagli realizzati appositamente per evitare che gli animali da tiro scivolassero sulla pavimentazione ma anche a sincronizzare il loro movimento ed evitare che si scontrassero gli uni con gli altri, visto che lo spazio era piuttosto esiguo. In tal modo veniva tracciato un percorso circolare, la cosiddetta curva canalisdescritta da Apuleio.
“Le fonti iconografiche e letterarie, in particolare i rilievi della tomba di Eurysaces a Roma, suggeriscono che di norma una macina fosse movimentata da una coppia composta da un asino e uno schiavo. Quest’ultimo, oltre a spingere la mola, aveva il compito di incitare l’animale e monitorare il processo di macinatura, aggiungere del grano e prelevare la farina”, spiega il direttore del Parco. L’usura dei vari intagli può dipendere dagli infiniti giri, sempre uguali, svolti secondo lo schema predisposto nella pavimentazione.
“Un’ulteriore conferma del valore inestimabile all’interno del Parco di Pompei”
L’ambiente riaffiorato con la sua testimonianza di dura vita quotidiana, integra il quadro raccontato nella mostra “L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio”, che sarà inaugurata il 15 dicembre e dedicata a quella miriade di individui spesso dimenticati dalle cronache storiche, come appunto gli schiavi. “La scoperta di un panificio-prigione a Pompei – dice il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano – è un’ulteriore conferma del valore inestimabile dell’intero sito archeologico. Il Parco continua a rivelare nuovi tesori che si aggiungono al patrimonio già ricchissimo della nostra nazione. Queste nuove scoperte, frutto di scavi e di una ricerca scientifica continua e puntuale, confermano l’unicità di un luogo che tutto il mondo ci invidia”, conclude il ministro.