Il museo del Prado declassa il “Salvator Mundi”: non è di Leonardo

da | 17 Nov 2021 | Arte e Cultura

Il dipinto “Salvator Mundi”, acquistato dal principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman, per 450,3 milioni di dollari nell’asta organizzata da Christie’s nel 2017, e attribuito a Leonardo Da Vinci, è di nuovo al centro di dubbi e polemiche.

Questa volta a sollevare le perplessità sull’attribuzione della versione più famosa tra le 22 di stile leonardesco, è il museo madrileno del Prado, dove fino al 23 gennaio 2022 si terrà una mostra sulla Gioconda e sul rapporto dell’artista toscano con la sua bottega.

Nel catalogo della mostra in questione, le opere di Da Vinci vengono suddivise in due sezioni: quelle autografate e indiscutibilmente attribuite a Leonardo, e quelle che sono invece ascritte alla sua bottega o alla supervisione del maestro toscano.

Nella categoria di opere attribuite a Leonardo, non è presente il Salvator Mundi, che fu il grande assente anche nella mostra organizzata al Louvre dedicata alla retrospettiva sulla vita e le opere del genio toscano.

Il fatto, ha acuito tutti i dubbi sulla paternità del dipinto attribuito a Leonardo che, fino alla mostra del museo madrileno, erano stati messi a tacere dalla grande risonanza che l’opera aveva avuto negli ultimi anni.

Il dipinto, reso noto nel 2005, grazie a Robert Simon, mercante d’arte newyorkese, che lo acquistò per soli 1.175 dollari, è stato esaminato a lungo prima di giungere al martello del battitore d’asta di Christie’s. La National Gallery che si interessò presto all’opera, la espose nel 2011 avvalendosi delle opinioni favorevoli alla paternità leonardesca tra cui quella di Martin Kerp, Pietro Marani, Maria Teresa Florio, e Carmen C. Bambach che poi cambiò idea, come molti altri, dati gli studi più approfonditi.

Oggi invece, nonostante la vendita in una delle case d’asta più famose al mondo, e il film presentato a Tribeca il 13 giugno scorso sulla storia del dipinto, il Salvator Mundi subisce il no categorico circa la paternità leonardesca da parte del museo del Prado.

A sostegno della catalogazione dell’opera all’interno della mostra madrilena, c’è poi il saggio della curatrice Ana Gonzàlez Mozo che apre il dibattito sottolineando: “alcuni specialisti ritengono che ci fosse un prototipo ora perduto, mentre altri pensano che la tanto dibattuta versione di Cook sia l’originale”.

La versione di Cook alla quale fa riferimento è il dipinto tanto dibattuto, che prende il nome da Francis Cook, collezionista inglese che lo acquistò nel 1900, e che secondo la Gonzàlez Mozo è una mera copia di un’opera originale di Leonardo ormai perduta.

Secondo la curatrice, la versione “Cook” non è neanche quella che si avvicinerebbe di più al dipinto originale, ma ce ne sarebbe un’altra, databile nei primi anni del 1500, chiamata “Ganay”, dal nome del marchese de Ganay che l’acquistò nel 1939.

Quest’ultima infatti è esposta fisicamente all’interno del percorso museale, oscurando così il dipinto dei record.