Dopo dieci anni è terminato il restauro sulla Sala di Costantino, la più grande delle Stanze di Raffaello, che ha rivelato tecniche inedite del grande pittore.
Il restauro sulla Sala di Costantino è durato ben dieci anni ed è stato condotto dal Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali Lignei dei Musei Vaticani, guidato da Francesca Persegati. E’ iniziato a marzo 2015 dalla parete della Visione della Croce e si è concluso a dicembre 2024 sulla volta dominata dal grande arazzo dipinto. L’allestimento dei ponteggi, articolato in otto fasi lavorative, ha seguito l’esatta successione dell’esecuzione delle pitture. Inattese e senza precedenti le scoperte emerse nell’ambito degli studi su Raffaello, sulla sua bottega e sui grandi cantieri artistici del Cinquecento. I dipinti sulle pareti, realizzati in un arco di oltre 60 anni da artisti e botteghe diverse sotto cinque pontificati, da Leone X a Sisto V, rappresentano un vero e proprio palinsesto della pittura a Roma dai primi agli ultimi decenni del XVI secolo. Come nel cantiere cinquecentesco, anche in questi dieci anni di restauro ai Musei Vaticani si sono avvicendati direzioni e coordinamenti diversi: sguardi e professionalità differenti che hanno arricchito la ricerca.
Il restauro
Il restauro, coordinato dal Reparto per l’Arte dei secoli XV-XVI ed eseguito dal Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali Lignei, in collaborazione con il Gabinetto di Ricerche Scientifiche, con il generoso sostegno del Capitolo di New York dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums, consente oggi di apprezzare l’impareggiabile varietà decorativa e iconografica della Sala di Costantino. Nel 2024 si è intervenuti sulle pitture del soffitto. Ai tempi di Raffaello era a cassettoni di legno. Sisto V affida la decorazione della volta a un allievo di Sebastiano del Piombo, Tommaso Laureti, che con un sapiente gioco di inganno visivo dipinge un finto arazzo, sommo capolavoro di prospettiva illusionistica, costruita anche su effetti di luce e ombra, emersi in tutta la loro bellezza grazie alla pulitura della superficie pittorica. A livello cronologico, l’avvio della decorazione si svolge a pochi mesi dalla morte del Sanzio, avvenuta il 6 aprile 1520. Dall’osservazione a contatto ravvicinato delle due figure femminili e dell’intera parete sono scaturite novità sorprendenti e una tecnica sperimentale messa a punto dal pittore delle Stanze. Piacentini continua poi a spiegare: “L’ultima grande impresa decorativa di Raffaello rappresenta una svolta nel suo percorso artistico: la presenza dei chiodi su gran parte della parete ci offre la certezza che volesse dipingere a olio tutta la stanza. Indubbiamente questa è stata una scoperta quasi rivoluzionaria, fino a questo momento unica nel suo genere”.
La nuova tecnica utilizzata
Per spiegare la nuova tecnica usata dal grande pittore, riprendiamo le stesse parole di Fabio Piacentini, responsabile del cantiere fin dal 2015: “Raffaello e i suoi collaboratori, Giulio Romano e Giovanni Francesco Penni, sono operativi nella stanza già nell’ottobre 1519. La pittura a olio su muro era già nota ai pittori fin dal Quattrocento, forse anche in Toscana, ma con altre modalità. Raffaello realizza le figure della Comitas e della Iustitia su una preparazione di colofonia, una resina naturale che deve essere applicata a caldo e stesa direttamente sulla struttura murale”, precedentemente puntellata da chiodi. Ma perché il progetto iniziale prevedeva la tecnica ad olio? “Raffaello – risponde Piacentini – aveva sicuramente incontrato Leonardo. L’olio inoltre, avendo tempi di esecuzione più lenti rispetto all’affresco, gli avrebbe consentito di effettuare ritocchi e correzioni per conferire all’insieme della decorazione quell’uniformità che invece non emerge nella Loggia di Amore Psiche nella Villa Farnesina di Roma”, dove evidente è il divario tra la mano del maestro e quelle degli aiuti.