Giusto l’anno scorso, in questo stesso periodo, a Palazzo Braschi si apriva la grande mostra intitolata “Il mondo fluttuante Ukiyoe. Visioni del Giappone”. Capolavori dell’arte giapponese di epoca Edo, un periodo compreso fra seicento e ottocento. Si focalizzava sul filone artistico più innovativo del tempo e anche più conosciuto a livello internazionale e influente anche nel nostro tempo: l’ukiyoe, una tecnica importata dalla Cina che si traduce con “immagini del mondo fluttuante”. Un genere pittorico che nasce in epoca Edo (1603 – 1868) costituito da dipinto a pennello su seta o carta, ma anche paraventi di grande formato, stampe realizzate in policromia con matrice in legno su carta e rotoli da appendere o srotolare fra le mani.
Per molti visitatori una vera scoperta. Fra le opere c’era la famosissima “Grande onda” di Hokusai autore anche delle “Trentasei vedute del monte Fuji” e “Paesaggio serale sul fiume tra il terzo e il quarto quartiere” di Hiroshige, uno dei più grandi artisti giapponesi di tutti i tempi, ammirato e imitato dagli impressionisti e post impressionisti. Da van Goog a Monet, Gauguin, Degas. E da scrittori come Goncourt, da musicisti come Debussy, da fotografi come gli italiani Felice Beato e Adolfo Farsari.
Le stampe giapponesi influenzeranno profondamente l’arte occidentale. E l’architettura. Frank Llyd Wright, figura centrale della scena mondiale del ‘900, nel 1893, visitando l’Esposizione Colombiana di Chicago, vede il padiglione giapponese, ricevendone un’impressione incancellabile. E così nel 1906 organizza all’Art Institut di la prima mostra monografica di Hiroshige. E risalendo ancora più indietro si arriva all’Expo di Parigi del 1867 in cui si distingue il Padiglione giapponese di Hayashi che rimarrà nella Ville Lumière come mercante d’arte e consulente di Edmond de Gouncourt.
Ma il punto di svolta fra il Giappone e l’Occidente si ebbe nel 1854 quando la flotta navale americana costrinse il Giappone ad aprire all’occidente alcuni porti commerciali. Fino a quel momento i contatti col resto del mondo si basavano su piccoli fondaci olandesi e cinesi a Nagasaki e su una nave che una volta l’anno da Goa toccava il Giappone. Il 1854 è l’ inizio di un’attrazione fatale fra il paese del sol levante e l’Occidente. Che dura tutt’ora.
L’esposizione nei Musei di San Salvatore in Lauro
E arriviamo ad oggi. Nell’anno dell’Expo di Osaka a Roma nei Musei di San Salvatore in Lauro (siamo nel complesso monumentale del Pio Sodalizio dei Piceni ), che conserva alcune opere di Emilio Greco, uno scultore molto amato in estremo oriente e la collezione permanente delle sculture di Umberto Mastroianni, il primo artista italiano a vincere il Premium Imperiale consegnatogli dall’imperatore del Giappone nel 1989, è aperta una grande mostra di stampe giapponesi.
S’intitola “Gli Shinhanga, una rivoluzione nelle stampe giapponesi”, è curata da Paola Scrolavezza, docente all’Università di Bologna con la collaborazione di Fusako Yoshinaga, direttrice della Galleria Nihonlux di Tohyo.
Shinhanga, letteralmente significa “nuova xilografia”, un movimento artistico che si manifesta in Giappone a partire dal 1916, grazie all’opera di alcuni maestri, come Shinsui e Kawase Hasui. Siamo in epoca Taisho (1912 – 1926) e in epoca Showa (1926 – 1989). A coniare il termine “Nuova xilografia” sarà l’editore Shozauro Watanabe che ha dato grande impulso alla realizzazione e alla diffusione dello Shinhanga.
Sono in mostra 120 opere originali di alcuni dei più celebri maestri Shinhanga, come Shinsui, Kavase Hasui, Hahiguchi Goyo a cui si aggiungono oggetti d’arredo, preziosi kimono, fotografie storiche. Ideata e realizzata da Vertigo Syndrome in collaborazione con Il Cigno, con Nip Pop e con la Japanese Gallery Kensington di Londra gode di molti patrocini: del Padiglione Italia Expo di Osaka, della Fondazione Italia Giappone, del Dipartimento di lingue dell’Università di Bologna.
“Gli Shinanga raccontano un paese che si apre allo sguardo e all’influsso dell’Europa”dice Paola Scrolavezza. “ I grandi maestri di questa corrente rivoluzionaria – prosegue – non solo fanno proprio il gusto per l’esotico dei viaggiatori stranieri, offrendo loro squarci estetizzanti del Sol levante segreto, ma si trasformano essi stessi in viaggiatori curiosi, cristallizzando nelle stampe scorci d’occidente che conservano la freschezza della prima scoperta. E ai ciliegi in fiore e alle vedute del Fuji si affiancano con naturalezza le piramidi di Gaza e i canali di Venezia”.
Le donne diventano le icone del cambiamento
I primi decenni del ‘900 sembrano percorsi da una vibrazione pulsante di energia, frutto della volontà di rinnovamento che aveva caratterizzato gli orientamenti e le politiche del periodo precedente. Con la riapertura del paese agli scambi con il mondo al di là dell’oceano le donne diventano le icone del cambiamento. Nelle stampe appaiono mentre si acconciano i capelli, mentre si truccano o appena uscite dal bagno. E escono dalle mura domestiche, frequentano i locali dei quartieri alla moda. Sono libere e indipendenti, attratte dallo stile di vita occidentale. E sono donne vere, non simboli di un ideale astratto di bellezza.
“Ogni geisha è come un fiore, bella in un suo modo speciale, e come un salice aggraziata, flessibile forte” , si legge in “Storia proibita di una geisha”. Nell’immaginario collettivo d’oltreoceano la figura di una geisha è ancora oggi il simbolo di una femminilità unica e assoluta, in cui la raffinatezza e l’eleganza si tingono di erotismo. Una donna che aspira a fare di se stessa un’opera d’arte vivente. Ma a questo ideale di bambole ritagliate su carta di riso le stampe shinhanga restituiscono spessore. Il mito romantico si sgretola per lasciare spazio alla donna vera.
Musei di San Salvatore in Lauro – Roma, Piazza San Salvatore in Lauro 15
Orario: martedì – mercoledì – giovedì – venerdì 11.oo – 19.30
Sabato – domenica 10.30 – 20.30
Fino al 15 giugno 2025