E’ stato inaugurato, in presenza del ministro Giuli, il percorso dei Giardini delle Spezie di Domiziano, al Parco Archeologico del Colosseo.
Al via l’apertura, per la prima volta al pubblico, degli Horrea Piperataria, ovvero i magazzini “delle spezie egizie e arabe”, così citati da Plinio e soprattutto da Cassio Dione, costruiti dall’imperatore Domiziano sulle pendici sud ovest della Velia, la collina (oggi non più visibile) posta tra Esquilino e Palatino, all’interno di un articolato “hub sanitario” dove orbitavano medici e speziali e dove avremmo scovato diversi laboratori che si occupavano della salute dei cittadini romani a spese dello stato. In quest’area collocata oggi proprio sotto la Basilica di Massenzio avremmo potuto camminare tra le numerose erbe utilizzate per scopi medici e funzioni religiose, arrivate a Roma dall’India e dall’Arabia. come primo fra tutte l’incenso, ma anche il cardamomo. I giardini saranno finalmente visitabili grazie a un nuovo ingresso posto sull’antico vicolo delle Carinae, anch’esso completamente risistemato e accessibile a tutti, dotato di una nuova pannellistica e percorribile dal Foro Romano fino al Tempio della Pace. Per l’apertura è arrivato anche il ministro della cultura Alessandro Giuli, che si è limitato alla visita senza rilasciare dichiarazioni ai giornalisti, e per la prima volta in veste di ministro a un evento nel parco Archeologico del Colosseo.
Gli Horrea Piperataria
Gli Horrea Piperataria erano un complesso di veri e propri magazzini e bazar che fungevano da centro per lo stoccaggio e la vendita di peperoni e spezie provenienti dall’Egitto e dall’Arabia, verso Roma. Domiziano le aveva costruite su file di taverne e sul portico in travertino a nord della Via Sacra, tutti risalenti al regno di Nerone. Dopo essere stati bruciati sia sotto il regno di Commodo, che sotto il regno di Carino, vennero ricostruiti da Massenzio e poi sa Costantino che ultimò l’opera. La scoperta, da parte di Maria Barosso, era avvenuta solo nel 1915, quando è stata riportata alla luce quella che rappresenta l’unica struttura identificata archeologicamente nel complesso sistema logistico dello stato romano preposto all’approvvigionamento e alla commercializzazione delle spezie. Nel 1935, proseguendo le ricerche, furono effettuati degli scavi nella navata della basilica, portando alla luce altre porzioni degli Horrea Piperatariani: il complesso architettonico sembra aver seguito la pianta tipica di quei mercati, ovvero con blocchi paralleli o navate, fiancheggiate da banchi o camere di pianta uniforme e aperte ad essi. Lo scavo è stato particolarmente interessante perché ha documentato le fasi monumentali che hanno preceduto gli Horrea Piperataria tra Augusto e l’incendio del 64 d.C., che diede avvio alla ripianificazione urbanistica voluta da Nerone. Oggi la Basilica Nuova si erge sul luogo dove un tempo si trovava l’horreos.
Le parole della direttrice Alfonsina Russo
Queste le parole di Alfonsina Russo, direttrice del Parco archeologico del Colosseo: “Un viaggio immersivo, arricchito anche da un percorso illuminotecnico e multimediale in un luogo particolarmente importante che ha avuto tutta una serie di trasformazioni a partire, almeno a quanto abbiamo rilevato, dall’età Giulio-Claudia, quindi dal I secolo dopo Cristo fino ad arrivare agli inizi del IV con la Basilica di Massenzio. È un giorno importante perché restituiamo ai visitatori un settore della Roma antica particolarmente significativo. Siamo tutti emozionati”, aggiunge Russo, sottolineando come si sia arrivati a questo risultato nel lavoro congiunto con il Dipartimento di Scienze dell’Antichità di Sapienza Università di Roma (Progetto Velia – Grandi Scavi Sapienza) che dal 2019 ha indagato e scavato, su concessione del ministero della Cultura e in collaborazione con il Parco archeologico del Colosseo”. Ha poi aggiunto Domenico Palombi, professore associato di Archeologia Classica al Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’università romana e Direttore del “Progetto Velia” – Grandi Scavi Sapienza: “Abbiamo trasformato il cantiere di scavo in un’area museale, con delle scelte importanti di sicurezza, conservazione e occultamento per la migliore fruizione possibile. Ci ha lavorato in cinque anni un’equipe di dieci dottorandi e trenta studenti l’anno per un totale di 150 ragazzi”.