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Beni archeologici, due sarcofagi e otto urne sequestrati dai Carabinieri del Nucleo TPC

da | 21 Nov 2024 | Archeologia, Arte e Cultura, Conservazione e Tutela, Istituzioni

L’attività di indagine è stata coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia

 

Otto urne litiche etrusche, due sarcofagi e il relativo corredo funerario di età ellenistica del III secolo a.C. Sono questi i preziosi reperti archeologici in perfetta conservazione e di età etrusca sequestrati durante una complessa e articolata attività di indagine svolta dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale – sezione archeologia, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia. L’indagine è stata presentata durante una conferenza stampa che si è tenuta martedì 19 novembre nella sede del Reparto operativo del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.

I nomi intervenuti alla conferenza stampa

Alla conferenza stampa sono intervenuti il Procuratore Capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, Raffaele Cantone, il Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica di Perugia, Dott.ssa Annamaria Greco, il Comandante dei Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale, Gen. D. Francesco Gargaro, il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli e il Capo del Dipartimento per la Tutela del Patrimonio Culturale del Ministero della Cultura, Luigi La Rocca.

Il gruppo di lavoro

Dal momento del trasporto a Roma i reperti sono stati affidati alla cura di un gruppo di lavoro costituito da funzionari archeologi della DG ABAP – le dottoresse Sara Neri e Federica Pitzalis – e della Soprintendenza ABAP dell’Umbria, i dottori Luca Pulcinelli e Paola Romi; i funzionari restauratori sono i dottori Adriano Casalgrande, Stefania Di Marcello, Giulia Severini, Serena Di Gatano; presente anche una antropologa, la dottoressa Elena Dellù dell’ICR, alla quale si deve un primo inquadramento del contesto.

L’inizio dell’indagine

Le attività di indagine sono state avviate nello scorso mese di aprile, a seguito di una comunicazione dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale che segnalava un possibile scavo abusivo nella zona fra Chiusi e Città della Pieve e il ritrovamento di importanti reperti archeologici etruschi. L’indagine, svolta dalla sezione Archeologia del Reparto Operativo TPC, ha preso il via dall’acquisizione di fotografie ritraenti numerose urne cinerarie con personaggi semi-recumbenti, tipici della cultura etrusca, che circolavano sul mercato illecito dell’arte. La collaborazione scientifica da parte di un docente dell’Università di Roma Tor Vergata ha permesso di contestualizzare l’appartenenza dei reperti a una necropoli etrusca, verosimilmente del territorio chiusino, già ricco di analoghe testimonianze artistiche.

Un ritrovamento fortuito da parte di un agricoltore nel 2015

Ulteriori accertamenti, con il supporto specializzato della Direzione generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura e della Soprintendenza dell’Umbria, hanno permesso di focalizzare l’attenzione su un rinvenimento fortuito, già denunciato nel 2015 a Città della Pieve (PG): un agricoltore, durante i lavori di aratura del terreno, si era imbattuto in un ipogeo etrusco contenente quattro urne funerarie e due sarcofagi riconducibili alla gens Pulfna, il cui medesimo patronimico era presente proprio su alcune delle urne raffigurate nelle fotografie da ricercare.

L’interesse investigativo su un imprenditore locale

Tuttavia, mentre l’ipogeo dei Pulfna scoperto nel 2015 era costituito da sepolture maschili, le immagini reperite dagli investigatori raffiguravano prevalentemente principesse etrusche. Le indagini sono state quindi concentrate nei luoghi limitrofi al predetto sito umbro, al fine di accertare se altri ipogei fossero stati violati di recente. Valutata la necessità di disporre di adeguate attrezzature e mezzi meccanici per la movimentazione e il trasporto di tali reperti, considerato il peso e le dimensioni delle urne, i Carabinieri si sono concentrati su determinati soggetti ritenuti in grado di gestire le complesse operazioni di un recupero clandestino. L’analisi di ulteriori dati acquisiti negli archivi amministrativi locali e l’interpolazione con gli elementi raccolti nella prima fase delle indagini hanno consentito di incentrare l’interesse investigativo su un imprenditore locale, titolare di una società in grado di svolgere anche movimento terra, che possedeva, tra l’altro, terreni adiacenti a quelli in cui era stato scoperto nel 2015 l’ipogeo.

Il sito di scavo clandestino

I militari del TPC hanno avuto conferma di una imminente commercializzazione dei beni sul mercato antiquario clandestino. Di conseguenza, è stata richiesta al Gip l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni telefoniche. Tale attività è stata supportata anche da servizi di osservazione e pedinamento, con l’utilizzo di un drone in dotazione al Nucleo Elicotteri Carabinieri di Pratica di Mare. Ciò ha permesso di individuare con rilevante probabilità la presenza dei reperti all’interno di un’area ben delimitata nel territorio di Città della Pieve. È stato, quindi, emesso decreto di perquisizione locale e in sede di esecuzione sono state rinvenute proprio le urne ritratte nelle fotografie individuate nella fase iniziale dell’indagine. Inoltre, utilizzando anche gli elementi topografici acquisiti dal sorvolo del drone, i militari TPC hanno potuto individuare con precisione il sito di scavo.

Sequestrate otto urne e due sarcofaghi

In particolare, sono state individuate quali eventuali responsabili due persone, nei confronti delle quali si procede per i reati di furto e ricettazione di beni culturali e soprattutto sequestrate otto urne litiche etrusche, due sarcofagi e il relativo corredo funerario di età ellenistica del III secolo a.C. Le urne, tutte integre, sono in travertino bianco umbro, in parte decorate ad altorilievi con scene di battaglie, di caccia e con fregi, alcune delle quali conservano pigmenti policromi e rivestimenti a foglia d’oro, altre con la raffigurazione del mito di Achille e Troilo. Dei due sarcofagi, uno è al momento rappresentato dalla sola copertura e l’altro completo dello scheletro del defunto.

Il corredo funebre

Un preliminare studio scientifico delle urne redatto dai funzionari archeologi del Ministero della Cultura conferma l’appartenenza dei beni a un unico contesto funerario, consistente in una tomba a ipogeo riconducibile a una importante famiglia del luogo, i Pulfna. Particolarmente ricco il corredo funebre, composto di suppellettili e vasellame sia fittile che metallico, tra cui quattro specchi in bronzo – uno dei quali con l’antica divinizzazione di Roma e della lupa che allatta soltanto Romolo – un balsamario contenente ancora tracce organiche del profumo utilizzato in antichità, un pettine in osso, situle e oinochoe in bronzo, comunemente utilizzati dalle donne etrusche durante banchetti e simposi. L’operazione di recupero di queste urne è considerata dagli esperti uno dei più importanti recuperi di manufatti etruschi mai realizzato durante un’azione investigativa. Inoltre, il fatto che le opere sequestrate siano riferibili a un unico ipogeo rendono particolarmente rilevante il valore archeologico, artistico e storico del recupero stesso.

I due sarcofagi

Luigi La Rocca, Capo del Dipartimento per la Tutela del Patrimonio Culturale del Ministero della Cultura, spiega: “I materiali provengono da una tomba costituita probabilmente da due piccole camere ipogee, che è stata quasi completamente distrutta dai responsabili dello scavo clandestino. Si tratta di oltre 50 elementi fittili e metallici pertinenti al corredo funebre, di due sarcofagi, di uno dei quali si conserva la sola copertura poiché la cassa è stata distrutta e trovata in frammenti all’esterno della tomba, l’altro completo, la cui copertura reca una formula onomastica femminile incisa (VELIA LEFNI PULFNASA) e la cui cassa contiene lo scheletro di una donna di circa 40 anni; otto urne litiche per lo più realizzate in alabastro, che presentano casse decorate a rilievo e coperchio coronato dalla figura del defunto nella posizione semirecumbente (distesa) propria del banchetto, anch’esse ancora riempite di terra e contenenti ancora i resti delle incinerazioni”.

Le due urne di maggior pregio

Prosegue La Rocca: “Sulla base delle prime ricostruzioni, in una delle camera erano deposti i due sarcofagi, le due urne di maggior pregio, che si contraddistinguono anche per l’eccezionale stato conservativo dei pigmenti policromi e del rivestimento a foglia d’oro, che esalta la sontuosità dei molteplici monili indossati dalle defunte raffigurate sui coperchi e gli oggetti di corredo che pure fanno riferimento all’universo femminile tra cui spiccano – accanto a un consistente nucleo di vasellame in bronzo (olpai, oinochoai, situle e fiasca) – quattro specchi con decorazione incisa figurata, che nelle more degli interventi conservativi rivelano raffigurazioni di indubbio interesse. Uno in particolare è decorato con la scena di una lupa che allatta un bambino in presenza di figure tra cui sembra di potere riconoscere Eracle e Minerva, scena che naturalmente richiama il mito di fondazione di Roma anche se non sfugge l’anomalia dell’assenza di uno dei gemelli. Sarà quindi l’approfondimento dell’analisi tecnica a fornire elementi utili per una interpretazione definitiva dell’iconografia rappresentata. Altro dato interessante è che lo specchio è certamente più antico dell’epoca della deposizione, fine IV a.C. e quindi costituisce oggetto di famiglia, tesaurizzato e poi posto nella tomba”.

Il mito protagonista delle urne principali

La Rocca precisa: “Le urne sono decorate con episodi del mito, raffiguranti la caccia al cinghiale calidonio da parte di Meleagro e Atalanta, connotata come cacciatrice dal corto chitone e dall’ascia bipenne brandita sopra la testa e una variante etrusca dell’uccisione di Troilo, uno dei figli del re Priamo, da parte di Achille assistito da Aiace, alla presenza di una coppia di Vanth (demoni inferi). Davanti a un altare, sul ventre di un cavallo atterrato, il corpo dell’eroe troiano è scompostamente disteso e privato dalla testa, sollevata per la capigliatura dall’antagonista. Le caratteristiche stilistiche e la raffinatezza dell’esecuzione permettono di ricondurre entrambe le urne al Gruppo dei Purni Curce, attivo tra il 240 e il 220 a.C. e identificato da studi recenti quale cerchia produttiva di primaria importanza nella scultura chiusina di età ellenistica”.

Le altre urne

Ancora spiega La Rocca: “All’altra, e prossima, camera ipogea sono invece riconducibili le altre cinque urne: una con coperchio displuviato recante il nome del titolare (VEL PULFNA CLANTI….) e cassa ornata da una protome di gorgone sorgente da un cespo d’acanto, compresa tra lesene scanalate, con policromia ben preservata, una con cassa liscia sostenuta da due sfingi e coperchio con defunto di età matura a torace scoperto, altre due recanti sul coperchio un personaggio semirecumbente ma con superfici fortemente degradate per fenomeni post deposizionali; su una si riconosce una nuova scena con l’agguato di Achille a Troilo, un’ultima con figura acefala sul coperchio nella posizione canonica del banchetto e cassa con scena figurata con una scena di battaglia tra un personaggio maschile in nudità eroica, con lembo sui fianchi, armato di un aratro, individuabile con ECHETLO, l’eroe di Maratona e guerrieri con scudo e armatura. Più incerta appare, infine, l’originaria localizzazione di un’ultima urna di piccole dimensioni, posta forse all’interno di una nicchia e caratterizzata dalla raffigurazione della defunta sul coperchio e sulla cassa da quella dell’uccisione reciproca di Eteocle e Polinice, tratta dal ciclo tebano”.

La Rocca: “Preziosa occasione di lettura contestuale dei beni depredati”

Infine commenta: “La nuova scoperta, al di là dell’indubbio valore intrinseco dei reperti, offre una preziosa occasione di lettura contestuale dei beni depredati e di valorizzazione delle possibilità documentarie dell’intero palinsesto funebre, dal momento che il tempestivo intervento dei Carabinieri, a scavo appena concluso si potrebbe dire, ha consentito la possibilità di registrazione di dati importanti che diversamente sarebbero stati definitivamente perduti: la presenza di sepolture a cremazione e a inumazione, la tipologia e il materiale dei monumenti ivi presenti, il corredo di accompagno, il nome della famiglia titolare della tomba, gli alfabeti usati nelle iscrizioni. Al fine di dispiegare la potenzialità scientifica del contesto e restituire un patrimonio di indubbia rilevanza al territorio, si è avviato un progetto più ampio che vede coinvolti DG ABAP ICR e Soprintendenza che possa reinserire nel proprio tessuto storico le evidenze rinsaldando così il legame indissolubile tra conoscenza, tutela e valorizzazione attraverso attività da svolgere nell’area del rinvenimento (Indagini non invasive e, in seguito, scavo stratigrafico) e in laboratorio (microscavo del contenuto delle urne, trattamento dei resti antropologici, interventi di prima conservazione e restauro delle urne e degli oggetti di corredo), finalizzate alla diffusione scientifica delle conoscenze e alla restituzione alla pubblica fruizione di concerto con la DG Musei”.

Immagine in evidenza: TPC, Urne Etrusche ©Emanuele Antonio Minerva

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