Pompei, scoperta la casa di Fedra

da | 27 Ott 2024 | Archeologia, Arte e Cultura

Nell’Insula dei Casti Amanti viene alla luce una piccola dimora, priva di atrio, con raffinati affreschi. Il direttore degli Scavi, Zuchtriegel: ‘Esempio di archeologia pubblica’

Una piccola casa, dalle dimensioni ridotte ma dalle decorazioni estremamente raffinate, è stata scoperta a Pompei, nel quartiere centrale della città antica, lungo Via dell’Abbondanza. Grazie al ritrovamento di un affresco ben conservato, rappresentante il mito di Ippolito e Fedra, è stata denominata provvisoriamente Casa di Fedra.

Com’era strutturata l’abitazione

La casa, emersa nel corso delle indagini in atto nel cantiere dell’Insula dei Casti Amanti, presenta uno spazio ristretto, senza il tradizionale atrio. Una particolarità considerato che, nonostante le ridotte dimensioni della dimora, non sarebbe stato impossibile l’inserimento di un piccolo atrio con la classica vasca (impluvium) per la raccolta dell’acqua piovana, tipico nell’architettura delle ricche dimore pompeiane, e che invece in questo caso è assente.
Una scelta probabilmente da mettere in relazione con i mutamenti che stavano attraversando la società romana, e pompeiana nello specifico, nel corso del I secolo d.C. e che questo rinvenimento consente di studiare e approfondire.

Le decorazioni parietali

L’abitazione colpisce per l’alto livello delle decorazioni parietali, che non ha nulla da invidiare alla più grande e ricca casa dei Pittori al Lavoro, con la quale confina.
I due ambienti attualmente oggetto di indagini si trovano nella parte retrostante dell’abitazione. Nel primo, oltre al quadretto mitologico con Ippolito e Fedra, le pareti splendidamente decorate in IV stile mostrano altre scene tratte dal repertorio dei miti classici. Si possono osservare: una rappresentazione di un symplegma (amplesso) tra satiro e ninfa; un quadretto con coppia divina, forse Venere e Adone, nonché una scena, purtroppo danneggiata dalle esplorazioni borboniche, in cui probabilmente si può riconoscere un Giudizio di Paride.
Una finestra, a fianco al quadretto con Ippolito e Fedra, si apre su un piccolo cortile, dove al momento dell’eruzione erano in corso lavori edilizi. Il cortile è dotato di una zona coperta che precede una grande vasca con le pareti dipinte di rosso. Intorno correva una canaletta, che consentiva di convogliare l’acqua piovana verso l’imbocco di un pozzo collegato con una cisterna sottostante.

L’altare domestico

Di straordinaria rilevanza il piccolo larario rinvenuto all’ingresso del cortile. Questo splendido altare domestico è caratterizzato da un ricco affresco dipinto a motivi vegetali e animali su fondo bianco.
Nella parte alta della decorazione del larario campeggia un rapace in volo, probabilmente un’aquila, che regge fra gli artigli un ramo di palma. La scena principale, che si trova, invece nella parte inferiore, raffigura  due serpenti affrontati, che incorniciano un altare con fusto circolare e scanalato su cui si dispongono le offerte. Si riconoscono da sinistra: la pigna, un elemento sopraelevato che sostiene un uovo e quelli che sembrerebbero essere un fico e un dattero. Riempiono il fondo della scena due arbusti con foglie lanceolate e bacche gialle e rosse su cui si muovono tre passeri.

L’ultima offerta prima dell’eruzione

All’interno della nicchia sono statti rinvenuti gli oggetti rituali, lasciati con l’ultima offerta prima dell’eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei: un bruciaprofumi in ceramica acroma con lacune antiche e una lucerna, entrambi con evidenti tracce di bruciato.
Le analisi di laboratorio hanno consentito di individuare resti di rametti di essenze odorose mentre, alle spalle dei due oggetti, gli archeologi hanno recuperato  due parti di un fico essiccato. Sul piano dell’altare sono stati ritrovati, inoltre, due listelli in marmi colorati e un terzo elemento, presumibilmente in marmo rosso, con una raffigurazione di un volto riconducibile alla sfera dionisiaca, probabilmente un sileno.
Infine, nella parte anteriore dell’altare si sono individuati una base quadrangolare e modanata in marmo, con un alloggio centrale e sulla sinistra un coltello in ferro il cui manico termina con gancio ad occhiello per la sospensione.

Il cantiere dell’Insula dei Casti Amanti

Il cantiere in corso presso l’Insula dei Casti Amanti è oggetto di un complesso progetto – diviso in due lotti differenti – che ha previsto diverse fasi, di cui alcune già conclusesi e che hanno permesso di rendere possibile la fruizione al pubblico del complesso, attraverso un sistema di passerelle sopraelevate.
Le diverse fasi hanno interessato: la verifica, progettazione e realizzazione della nuova copertura; gli scavi archeologici; la riprofilatura dei fronti di scavo; la messa in sicurezza degli elevati murari; il restauro delle superfici e degli elementi archeologici.
Attualmente, gli archeologi del Parco stanno operando nel settore nord-est dell’isolato, all’interno di una serie di ambienti con accesso dal vicolo orientale. L’apporto delle indagini in corso sta permettendo di definire sempre più precisamente la sistemazione planimetrica dell’Insula, tanto da consentire di individuare questa nuova unità abitativa.

Zuchtriegel: ‘L’archeologia deve essere di tutti’

“È un esempio di archeologia pubblica o, come preferisco chiamarla, archeologia circolare: conservazione, ricerca, gestione, accessibilità e fruizione formano un circuito virtuoso”, ha dichiarato il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel.
“Scavare e restaurare sotto gli occhi dei visitatori, ma anche pubblicare i dati online sul nostro e-journal e sulla piattaforma open.pompeiisites.org significa restituire alla società che finanzia le nostre attività la piena trasparenza di ciò che facciamo. L’archeologia deve essere di tutti perché solo così creeremo comprensione verso gli archeologi che lavorano in tutta Italia sui cantieri nell’ambito della cosiddetta archeologia preventiva. Se il cantiere della metro o di una strada ritarda a causa di rinvenimenti archeologici, visitare Pompei e osservare il lavoro di archeologi e restauratori può aiutarci a capire perché vale la pena documentare e salvaguardare le tracce delle generazioni che hanno vissuto prima di noi”, ha concluso Zuchtriegel.

 

 

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