fbpx

L’ Apollo del Belvedere. Un restauro in equilibrio tra tecnologia e filologia

da | 21 Ott 2024 | Arte e Cultura, Conservazione e Tutela

  • nascondi
    • Facebook
    • Twitter
    • LinkedIn
    Apollo, lato dx. fine restauro
Dopo cinque anni di attento e complesso lavoro di ricerca e di restauro, l’Apollo del Belvedere, fra le opere più celebrate e amate dei Musei Vaticani, torna al suo posto, per essere ammirato dai numerosissimi visitatori che da tutto il mondo vengono a vedere le collezioni pontificie.
Il progetto è stato presentato alla stampa internazionale dalla Direzione dei Musei Vaticani alla presenza della Direttrice Barbara Jatta e dei massimi responsabili dei Musei: dal Vice Direttore artistico-scientifico Giandomenico Spinola a Claudia Valeri, Curatore del Reparto di Antichità Creche e Romane, a Guy Devreux, Responsabile del Laboratorio di Restauro dei Materiali Lapidei, a Fabio Morresi, Responsabile del Gabinetto di Ricerche Scientifiche. Una numerosa e affiatata squadra che ai massimi livelli vigila sui capolavori vaticani a cui tutto il mondo guarda.

Scoperta a Roma nel 1489 tra le rovine di un’antica domus

La statua venne scoperta a Roma nel 1489 tra le rovine di un’antica domus sul colle Viminale e subito venne acquistata dal cardinale Giuliano della Rovere che divenuto Papa col nome di Giulio II (1503 – 1513) la fece trasferire in Vaticano. Al Belvedere viene registrata fin dal 1508. All’epoca la statua era ancora quasi integra, mancava solo la mano sinistra e le dita della mano destra. Fra il 1532 e il 1533 Giovannangelo Montorsoli operò il primo restauro completando il braccio sinistro, sostituì l’avambraccio destro e integrò la parte superiore del tronco d’albero su cui si appoggiava il nuovo braccio. Il dio Apollo sembra avere appena scagliato una freccia con il suo arco che doveva impugnare con la sinistra.
La scultura era stata realizzata da una bottega copistica che operava a Roma nei primi decenni del II sec. d. C. replicando un capolavoro in bronzo realizzato in Grecia verso il 330 a. c. probabilmente da uno degli artisti più celebri del tempo, l’ateniese Lochares, il ritrattista ufficiale della dinastia macedone, che aveva lavorato al Museo di Alicarnasso, il sepolcro del satrapo di Caria Mausolo, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico.
L’Apollo è una scultura meravigliosa e fragile che nel 2019, sottoposta da qualche anno a un accurato monitoraggio, fece emergere serie criticità strutturali che imponevano un intervento di messa in sicurezza. Fragili in particolare le gambe fratturate da secoli all’altezza delle ginocchia e delle caviglie. In più punti il marmo era stato sostituito da resina poliestere in un intervento di 40 anni fa. Gambe troppo fragili per sostenere il braccio sinistro in avanti e il mantello.

La scienza e la tecnologia in soccorso del restauro

Bisognava provvedere subito, come? E qui la scienza e la tecnologia sono venute in soccorso. Il problema era ben noto anche nel cinquecento se si provò a risolverlo con un sostegno e se Canova pensò nel 1816 di venirne a capo ancorando la statua alla nicchia di fondo e al basamento tramite una barra di ferro. Ma questo si faceva tanto tempo fa, ora per fortuna esistono altri materiali, leggeri e resistenti come il carbonio. Esistono simulazioni in tre D, monitoraggi. E. dopo una quindicina di progetti differenti si è arrivati all’intervento attuale. Non a caso, nel presentarlo, si è fatto esplicito riferimento alle barche da regata e ai sistemi usati per gli alettoni della formula uno, ricorda Fabio Morresi.
L’obiettivo era garantire una nuova solidità alla statua intervenendo con la maggiore cautela possibile e utilizzando solo fori e incassi già esistenti. Una barra in fibra di carbonio e acciaio è stata inserita nel basamento marmoreo, all’interno dell’incavo che fino al 1980 aveva ospitato il ferro ottocentesco. In alto la barra si collega a un sofisticato sistema di tiraggio che utilizza un grande foro già presente sulla schiena della statua. Una sorta di albero di vela dell’America’s cup in grado di ridurre di 150 Kg il peso che grava sulle fratture più delicate, monitorate grazie a invisibili fibre ottiche. A seguire l’operazione di pulitura della superficie che ha ridato luminosità al marmo. Tra i riccioli riemerge la policromia che conferma la preparazione per la doratura dei capelli. Un lavoro corale di alta professionalità, un restauro fra tecnologia e filologia.
Ingegneri e specialisti nella progettazione strutturale si sono avvalsi di tecnologie e materiali d’avanguardia con la supervisione del Laboratorio di Restauro Materiali Lapidei in stretta collaborazione col Gabinetto di Ricerche Scientifiche.
Ma come stava l’Apollo dalla chioma d’oro? come lo chiamava Omero, si chiede Claudia Valeri. E racconta del sensazionale ritrovamento negli anni cinquanta in un sottoscala fra le rovine del palazzo imperiale di Baja, a nord di Napoli, di 450 frammenti di piedi, mani, braccia di un gruppo scultoreo. Una replica integra realizzata da una bottega urbana. Fra questi frammenti in gesso è stata riconosciuta la mano sinistra mancante dell’Apollo. Sono i calchi in gesso tratti dal bronzo originale del V- VI sec. realizzato da Leochares. (Andrea Felice fabbrica gessi secondo il procedimento antico della bottega di Baja). E così la mano di Montorsoli viene sostituita da questa nuova mano. Un esperimento filologico che viene consegnato alla comunità scientifica. “Un inserimento reversibile che abbiamo avuto il coraggio di fare” dice Barbara Jatta.
Dopo cinque anni si rivede così finalmente l’Apollo del Belvedere, dopo un restauro fra tecnologia e studi filologici coordinato dal reparto antichità greche e romane ed eseguito dal laboratorio di restauro dei Vaticani. “Un lavoro corale di professionalità diverse”. Ecco di nuovo l’Apollo del Belvedere dai capelli d’oro e l’anima . carbonio. Torna a nuova vita l’icona della bellezza classica. “Vasari parla dell’Apollo, Winkelmann lo consacra, Michelangelo lo prende a modello” ricorda Barbara Jatta .

Clicca sul banner per leggere Territori della Cultura