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Giotto, completata la prima fase del restauro delle Storie di San Francesco nella Cappella Bardi

da | 24 Set 2024 | Arte e Cultura

La fine degli interventi è prevista per l’estate 2025.  Al via dal prossimo ottobre le visite sui ponteggi.

Si concluderà nell’estate del 2025 il restauro delle Storie di San Francesco, narrate da Giotto nella Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze.
L’intervento di conservazione, avviato nel giugno del 2022, apre un capitolo importante nella storia del restauro e costituisce una irripetibile occasione di conoscenza del maestro fiorentino, accostandoci anche al quotidiano operare di colui che fu uno straordinario innovatore dell’arte italiana.

I precedenti interventi di restauro

Il restauro in corso alla Cappella Bardi in Santa Croce, a Firenze, s’innesta in una tradizione di restauri che hanno fatto la storia della disciplina.
Dipinto dopo il 1317, forse attorno al 1325, il Ciclo di San Francesco subì il destino di molti affreschi medievali: fu oggetto di riscoperta e restauro radicale, secondo naturalmente i principi vigenti all’epoca.
Dalla sua ultimazione ai giorni nostri, l’opera ha, infatti, conosciuto alterne vicende, tanto da essere definita “tormentata” da Cristina Acidini, oggi presidente dell’Opera di Santa Croce, che ha ricordato le traversie di un capolavoro sul quale le scelte dagli uomini si sommano all’azione del tempo.
A partire dalla prima metà del XVIII secolo, l’opera è stata a lungo celata sotto uno strato di imbiancatura a calce e poi rovinosamente modificata con l’inserimento di due cenotafi, nel 1812.
Allo stesso secolo risale il primo ritrovamento di porzioni di pittura trecentesca (nel 1851), episodio che di fatto ha posto le premesse per l’intervento del primo restauratore: Gaetano Bianchi.
A lui si deve la scelta di rimuovere entrambi i monumenti funerari e l’imbiancatura. Operazione, quest’ultima condotta con procedure meccaniche considerate le cause di abrasioni, graffi e perdite.
Si arriva alla seconda metà Novecento (1957-1958), con il lavoro guidato dal soprintendente Ugo Procacci e dal restauratore Leonetto Tintori, artefice della restituzione alla pittura giottesca, “offuscata” dalle precedenti integrazioni, della sua vera essenza.
A guidare le mani di Bianchi prima e di Tintori poi furono due distinte visioni del restauro pittorico, che finirono per rendere la Cappella Bardi un caso studio per la comunità scientifica di riferimento.

Il progetto dell’Opificio

Il più recente restauro degli affreschi di Giotto nella Cappella Bardi è stato affidato dall’Opera di Santa Croce all’Opificio delle Pietre Dure (OPD), il più prestigioso ente per il restauro in Italia e un’eccellenza nel mondo.
Avviato nel giugno del 2022, il progetto viene da lontano e nasce dalla determinazione del compianto Marco Ciatti, già Soprintendente dell’Opificio, che nel 2018 mise a punto e firmò il primo accordo tra OPD, Opera di Santa Croce e ARPAI a supporto di un’impresa straordinaria che, superato anche l’ostacolo della pandemia, è ora una realtà e che, grazie al fondamentale sostegno della Fondazione CR Firenze, sta per entrare nel suo ultimo anno di lavoro.
“L’intervento, preceduto e accompagnato da un’approfondita campagna diagnostica, pianificata e condotta dall’Opificio, vede il coinvolgimento attivo di centri di ricerca e professionisti di rilevo internazionale. Il Comitato scientifico raccoglie, infatti, esperti di restauro e alcuni tra i massimi studiosi dell’opera di Giotto -hanno ricordato in un comunicato e in conferenza stampa Cristina Acidini ed Emanuela Daffra, soprintendente dell’OPD -.
“L’Opificio delle Pietre Dure – si legge ancora nella nota – ha utilizzato le sue competenze consolidate e ha fatto ricorso alle tecnologie più avanzate”, il cui impiego è stato reso possibile grazie ai finanziamenti per oltre 1 milione di euro arrivati dalla Fondazione CR Firenze e dall’ ARPAI oltre che da alcune donazioni private.

Le scoperte dopo il restauro

Il restauro delle decorazioni pittoriche commissionate a Giotto probabilmente da Ridolfo dei Bardi, esponente dell’omonima e influente dinastia di banchieri fiorentini, si concluderà nell’estate del 2025, ma numerose sono già le sorprese e tante anche le conferme riguardanti le modalità di lavoro del grande maestro emerse a conclusione della prima fase di lavori.
Durante il restauro, è stato spiegato, è venuta alla luce una decorazione precedente, probabilmente geometrica; grazie alla termovisione sono state individuate le buche pontaie ed è stato possibile precisare l’andamento e la struttura dei palchi del cantiere giottesco: realizzati a partire dalla metà delle lunette per poter dipingere la volta e poi portati alla base di ciascuna scena. Altre tracce sono riconducibili alle sinopie e al disegno preparatorio, passaggi fondamentali per studiare la composizione pittorica delle scene sulle pareti.
Come nella prassi consolidata, Giotto tracciava l’abbozzo di ciascuna scena per pianificare le “giornate” del tonachino, cioè dell’intonaco sottile su cui i pittori avrebbero steso i colori. Questa modalità permette di riscostruire il succedersi nel tempo del lavoro pittorico. La Cappella Bardi porta avanti le sperimentazioni circa l’utilizzo misto di pittura a fresco e a secco, gestito da Giotto con straordinaria capacità progettuale e tecnica, hanno spiegato Cristina Acidini ed Emanuela Daffra.
“La tecnica, infatti, e ce lo conferma la presenza delle giornate, era programmaticamente quella dell’affresco, ma il pittore su questa base interviene ampiamente con colori stesi con un legante organico, probabilmente uovo – ha evidenziato Daffra – Può così contare su una gamma di colori più ampia, ottenere effetti chiaroscurali e di tono più intensi, con esiti di accentuato realismo. Tali aree, in parte perdute, si possono ‘rivedere’ e apprezzare grazie alla nuova campagna fotografica in ultravioletti che può valersi oggi di una strumentazione molto raffinata”.
Il contatto ravvicinato con le pareti rivela poi “particolari che riportano accanto a Giotto nel vivo del lavoro, come le pennellate di prova destinate a valutare il cambiamento di tono prodotto dall’asciugatura dell’intonaco, che sarebbero poi scomparse alla vista con la stesura cromatica a secco, e sono oggi visibili proprio per la perdita di queste campiture (vengono rivelate, ad esempio, ne Il transito di San Francesco)”, ha concluso Acidini.

Un cantiere visitabile

Per volere dell’Opera di Santa Croce e dell’Opificio delle Pietre Dure, l’intervento di restauro in corso sarà anche un’occasione di conoscenza del pittore fiorentino. Le due istituzioni hanno, infatti, concordato che il ponteggio di lavoro, a intervento ultimato, resti al suo posto almeno due mesi in modo da consentire le visite del pubblico che potrà così apprezzare l’opera da vicino.
Da ottobre 2024 fino a luglio 2025 è prevista inoltre un’anteprima delle visite guidate nel cantiere di restauro, un regalo della Fondazione Cassa di Risparmio Firenze ad una parte del territorio a cui la sua missione è vincolata. L’iniziativa è su prenotazione obbligatoria, tutte le informazioni sul sito https://fondazionecrfirenze.it/ .

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