Nuovi studi dimostrano che ad inventare il pregiato colore blu oltremare non sia stato il chimico francese Jean-Baptiste Guimet, ma Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero.
Il colore blu oltremare è sempre stato considerato la pigmentazione più pregiata di qualsiasi altra, compreso del colore dorato. Il chimico francese Jean-Baptiste Guimet nel 1828 riuscì per la prima volta, ufficialmente, a sintetizzare il pigmento, costoso come l’oro, ottenuto in natura dai lapislazzuli, ma studi recenti hanno stabilito che ben cinquant’anni prima, il blu fu inventato in Italia, a Napoli, nei meandri del laboratorio più misterioso del Settecento, quello di Raimondo di Sangro, settimo Principe di Sansevero. Fu lui, dunque, a creare artificialmente il prezioso colore “oltremare”. La nuova ricerca è stata condotta dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, che ha portato alla luce sorprendenti scoperte riguardo alle sperimentazioni sui materiali, in particolar modo la creazione di pietre preziose artificiali e la colorazione del vetro, condotte nel Settecento dal Principe. Lo studio è stato svolto dai ricercatori del Centro interuniversitario “Seminario di Storia della Scienza” con il Dipartimento di Scienze della terra e geoambientali dell’Università di Bari Aldo Moro. I risultati sono pubblicati nell’articolo, da poco uscito: “In search of the Phoenix in eighteenth century Naples. Raimondo di Sangro, nature mimesis and the production of counterfeit stones between palingenesis, alchemy, art and economy”, sulla rivista scientifica Nuncius, Journal of the Material and Visual History of Science, ma un’ anteprima era già stata illustrata al Museo Cappella Sansevero dalla direttrice, Maria Alessandra Masucci, e dall’équipe guidata da Francesco Paolo de Ceglia insieme a Andrea Maraschi del “Seminario di Storia della Scienza”. Alla presentazione sono intervenuti Alessandro Monno e Gioacchino Tempesta del Dipartimento di Scienze della terra e geoambientali.
Raimondo di Sangro è noto per essersi dedicato alla produzione di pietre preziose artificiali e alla colorazione del vetro. Tra coloro che ebbero l’opportunità di ammirare le sperimentazioni del Principe con il colore e con i vetri colorati, ci fu sicuramente lo scienziato francese de Lalande, che nel suo diario di viaggio annotò: “L’arte di colorare il vetro sembrava un segreto ormai perso; il principe di Sansevero vi si è esercitato con successo; vi sono presso di lui dei pezzetti di vetro bianco, in cui si vedevano differenti colori che erano chiari e trasparenti come se il vetro fosse uscito dalla fornace con quegli stessi colori”. Dunque, per i colori in generale Raimondo nutriva una particolare attenzione: si concentrò, ad esempio, su quelli utilizzati per la volta della Cappella dipinta da Francesco Maria Russo, conosciuta con il nome di Gloria del Paradiso o Paradiso dei di Sangro, i cui colori sono stati frutto delle sue invenzioni: gli azzurri, i verdi, gli ori, tutti colori decisi, prodotto di una formula creata dallo stesso Principe, che ancora oggi, dopo oltre 250 anni, hanno mantenuto la stessa intensità. Le indagini, per esempio, si sono soffermate sull’analisi dei pigmenti rossi e blu della cappella di famiglia. I risultati delle analisi hanno confermato che il Principe riuscì a creare il blu oltremare, utilizzandolo per la cornice, intorno all’altorilievo soprastante l’altare maggiore (di Francesco Celebrano e Paolo Persico, anni ’60 del XVIII secolo). La ricerca multidisciplinare di storici della scienza e mineralisti ha quindi potuto provare la veridicità delle fonti riguardo al principe di Sansevero, partendo da un dettaglio quasi trascurabile ritrovato in una famosa guida della città di Napoli di fine Settecento, e approfondendo al microscopio i segreti della Cappella Sansevero, sulle tracce di due colori: il rosso e, soprattutto, il blu. E’ stato, inoltre, rilevato anche l’insolito uso della fluorite come materiale scultoreo, in particolare per i cuscini delle statue di Sant’Oderisio (Francesco Queirolo, 1756) e Santa Rosalia (Francesco Queirolo, 1756).
Il Principe di Sansevero e il Cristo Velato
Raimondo di Sangro è indissolubilmente legato alla cappella Sansevero, il mausoleo di famiglia che abbellì raccogliendovi statue tipicamente barocche. La più celebre e suggestiva opera è indubbiamente il Cristo Velato, a Napoli. C’è un’aura di grande mistero su Sansevero e sul suo rapporto con il Cristo Velato. Benedetto Croce scriveva del Principe, descrivendolo come “l’incarnazione napoletana del dottor Faust […] che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura” tanto che accecò Giuseppe Sanmartino, autore del Cristo Velato, per far sì che egli “non eseguisse mai per altri così straordinaria scultura”. La più nota delle leggende, tuttavia, riguarda la trasparenza del sudario che avvolge il Cristo Velato. Molti storici dell’arte tendono a pensare che la statua sia il risultato di un espediente alchemico in grado di “marmorizzare” i tessuti; in realtà, il velo è “realizzato dallo stesso blocco della statua” e pertanto frutto esclusivamente dello scalpello del Sanmartino.