A Palazzo Barberini a Roma, un’esposizione in occasione dei 400 anni dalla pubblicazione de “Il Saggiatore”, il trattato di Galileo Galilei che pose le fondamenta del metodo di ricerca sperimentale della scienza moderna
E’ stata aperta il 16 novembre la mostra “La città del Sole. Arte barocca e pensiero scientifico nella Roma di Urbano VIII”, e resterà visibile fino all’11 febbraio dell’anno prossimo. Un’esposizione ideata dal Museo Galileo di Firenze in occasione dei 400 anni dalla pubblicazione de “Il Saggiatore”, il trattato di Galileo Galilei che pose le fondamenta del metodo di ricerca sperimentale della scienza moderna basato sull’osservazione e la sperimentazione, confutando radicalmente i fondamenti della filosofia scolastica a cui Galilei contrappone la propria concezione di una natura organizzata sulla base di rigorosi principi matematici.. L’opera, che nasce da una disputa sull’origine delle comete tra Galileo e il gesuita Orazio Grassi, sostenuta e pubblicata dall’Accademia dei Lincei venne offerta come dono augurale al neoeletto pontefice Urbano VIII. “ il Saggiatore del nostro Galilei, del Fiorentino scopritore non di nuove terre, ma di non più vedute parti del cielo…investigazioni di quegli splendori celesti, che maggior maraviglia sogliono apportare. Lo dedichiamo e doniamo alla Santità Vostra…”, scrivevano nella dedica al Papa gli Accademici Lincei.
Il “Saggiatore” fu benevolmente accolto dal nuovo Papa che ricevette Galilei a Roma più volte. Non altrettanto sarebbe accaduto con il “Dialogo sopra i due massimi sistemi” uscito nel 1630 che condurrà Galilei al processo per eresia, all’abiura con una condanna alla prigionia commutata poi in residenza coatta. A curare l’esposizione, prodotta dal Museo Galileo in partnership con Opera Laboratori, in collaborazione con le Gallerie Nazionali di Arte Antica, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e il Centro Studi sulla Cultura e l’immagine di Roma, è Filippo Camerota insieme a Marcello Fagiolo. Una lunga premessa per presentare una mostra molto speciale, arte e scienza sullo stesso piano, l’una a servizio dell’altra e viceversa nel clima di un sodalizio perfetto nella Roma della prima metà del Seicento, col favore della committenza barberiniana.
E ampio impiego di documenti, strumenti scientifici, mappamondi, sfere armillari, macchine, antichi codici e opere d’arte in senso stretto. Tanto che il primo impatto è con le macchine per scrutare il cielo, poi i dipinti, i disegni, le incisioni, i libri, un centinaio di opere d’arte concesse in prestito da prestigiose istituzioni pubbliche e private, Gallerie, Musei, Biblioteche, Università, Fondazioni . Viene dagli Uffizi il “Ritratto di Galileo” di J. Suttermans, dall’Archivio di Stato di Roma “Progetto per la Chiesa di Sant’Ivo” 1642 di Francesco Borromini, dal Museo Galileo “Sfera armillare” di Carlo Plato 1578, dalla Bibliothèque de l’Observatoire di Parigi “Orologio Solare Multiplo”, dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze “Sidereus Nuncius”1610 di Galilei, dalla Fondazione Primoli “L’arte di restituire a Roma la tralasciata navigazione del suo Tevere”1685 di Cornelis Meijer….E testi fondamentali dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma di Galilei, Kircher, Campanella.
Particolarmente interessanti per il loro legame con la scienza le anamorfosi di Nicéron e Maignan maestri in questa tecnica rivoluzionaria che si basa sull’illusione ottica. L’anamorfosi come metafora dell’ordine spirituale della creazione divina. L’occhio distratto vede solo un insieme confuso di forme, ma se la stessa immagine si osserva da un punto di vista prospettico la figura si ricompone e acquista significato. Praticata già nel ‘400, ebbe grande fortuna in età barocca . Uno dei protagonisti di questa modalità di fare pittura è stato il matematico e teologo francese Jean – François Niceron dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola autore del famoso affresco anamorfico di San Giovanni Evangelista nell’Isola di Patmos, nell’atto di scrivere l’”Apocalisse”. Un altro affresco anamorfico si trova nel convento di Trinità dei Monti. E’ del padre Minimo Emmanuel Maignan. Sembra il dipinto di un paesaggio, ma osservato a distanza si ricompone quasi per miracolo nella figura di San Francesco di Paola inginocchiato in preghiera.
Ad ospitare la rassegna è lo spazio mostre di Palazzo Barberini, storica dimora dei Barberini, e di quel Maffeo che proprio nel 1623 saliva al soglio pontificio. Un papa che fu attento interlocutore di Galileo negli anni che videro i primi rapporti conflittuali tra lo scienziato e i gli astronomi gesuiti del Collegio Romano. L’elezione di Urbano VIII fu accolta dal mondo scientifico come una “mirabile congiuntura”, qualcosa di simile a quello che per gli astrologi è una felice congiuntura astrale, che lascia presagire grandi opportunità per l’avanzamento della scienza, con l’auspicio di favorire il dialogo sulle nuove scoperte astronomiche. Un’opportunità che non sfugge a Federico Cesi e Francesco Stelluti ai quali si devono due lavori in onore del papa l’”Apiarum”e la “Melissographia”. Una tavola sinottica sulla natura delle api e una raffinata incisione che ne illustra l’anatomia osservata al microscopio. Le api, elementi araldici dell’arme barberiniana, vengono assunte a emblema del nuovo corso degli studi naturalistici promossi dai Lincei e favoriti dall’invenzione galileiana del microscopio. Il sole sarà l’oggetto di studio della nuova astronomia telescopica inaugurata da Galileo.
Gallerie Nazionali di Arte Antica Palazzo Barberini Via delle Quattro Fontane 13.
Orario : da martedì a domenica, ore 10 .oo – 19.oo. Fino all’11 febbraio 2024. Tel. 06-4814591
Informazioni: www.museogalileo.it tel 055-2989851