Il Museo Eremitani ospita la mostra “Lo scatto di Giotto. La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900”
Il Museo Eremitani di Padova ospita la mostra “Lo scatto di Giotto. La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900”, aperta dal 28 ottobre 2023 al 7 aprile 2024. La mostra è promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova ed è curata dai Musei Civici, Biblioteche Civiche e Ufficio Patrimonio Mondiale.
La Cappella degli Scrovegni
Conosciuta in tutto il mondo per essere il capolavoro assoluto affrescato da Giotto, la Cappella degli Scrovegni è uno delle più importanti testimonianze della bellezza dell’arte italiana, tanto che è stata dichiarata patrimonio UNESCO.
Giotto compie i suoi affreschi in due anni, tra il 1303 e il 1305. Le Storie della Vita di Cristo e della Vergine, i Vizi e le Virtù e l’imponente Giudizio Universale sono narrati con estrema modernità, sia grazie alla presenza della terza dimensione sia alla rappresentazione dell’uomo colto nella sua emotività e intensità. Basti citare l’angoscia e la disperazione che traspare nell’affresco “La strage degli innocenti”. L’osservatore ha così la sensazione di entrare all’interno dei racconti.
L’assessore Colasio: “Riprodurre le immagini del ciclo di Giotto era un modo per evitarne la perdita irreversibile”
In pochi sanno però che la Cappella degli Scrovegni è stata fra i primi monumenti italiani a essere riprodotto in fotografia, per la sua bellezza ma anche per custodire dal tempo il capolavoro di Giotto. Andrea Colasio, assessore alla Cultura del Comune di Padova, sottolinea: “Esiste un nesso indissolubile tra le vicende ottocentesche della Cappella degli Scrovegni e l’esigenza, manifestata da diverse personalità nel corso di tutto quel secolo, di salvaguardare almeno le immagini del capolavoro giottesco. Come un basso continuo, sin dai primi decenni dell’Ottocento infatti, l’integrità fisica della Cappella e del ciclo affrescato in essa contenuto sono stati a rischio di dissolvenza, se non di vera e propria distruzione o sottrazione. Riprodurre le immagini del ciclo di Giotto era quindi un modo per evitarne la perdita irreversibile”.
Un racconto inedito
Sottolinea Colasio: “Indubbiamente, le innovazioni nelle tecniche della riproducibilità dell’opera d’arte che si declinarono compiutamente proprio nella prima metà di quel secolo si riverberarono sui mezzi utilizzati per fissare le immagini: dal disegno a tratto alla pittura, dalle xilografie alle incisioni, dalle lastre colorate in vetro per le lanterne magiche alle cromolitografie, per finire con le prime immagini fotografiche in bianco e nero”.
Prosegue Colasio: “Lo Scatto di Giotto parte da qui e si dipana in un racconto inedito, frutto della ricerca e dell’impegno di un gruppo di lavoro di professionisti strutturatosi in seno a Musei Civici, Biblioteche Civiche e Ufficio Patrimonio Mondiale, che ha curato il progetto della mostra dalla fase di ideazione alla presentazione. A loro, così come alla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e ad APS Holding che hanno sostenuto la sua realizzazione, va il mio ringraziamento per questa nuova e interessante esperienza che sono certo incontrerà anche il favore del pubblico”.
“Lo scatto di Giotto”, i significati
Una mostra che racconta attraverso le fotografie Giotto e gli sguardi delle grandi personalità che si sono posati sui suoi affreschi. Federica Millozzi, Conservatrice della Cappella degli Scrovegni, spiega: “Lo Scatto di Giotto gioca proprio sul doppio significato di questo termine: scatto è quello dei fotografi che realizzano le prime immagini della Cappella degli Scrovegni, lo sono le loro stesse fotografie, ma scatto è anche quello compiuto da Giotto, uno scatto in avanti rispetto alla pittura del suo tempo, quello di un artista che ha saputo saltare nel moderno fino al Novecento. Si aggiunga che la sua innovazione nasce da quella stessa ricerca di rappresentare la realtà, l’uomo, la natura e lo spazio, che la macchina fotografica e la macchina da presa riusciranno a catturare cinque secoli dopo”.
Le fotografie di Naya e Borlinetto
Fu Carlo Naya, uno dei pionieri italiani della fotografia, a immortalare per la prima volta la Cappella degli Scrovegni nell’estate del 1863. Le immagini degli affreschi di Giotto si susseguono oltrepassando le barriere del tempo. La mostra inizia lasciando immergere il visitatore in un suggestivo scenario in bianco e nero, realizzato grazie alle rare lastre fotografiche realizzate da Luigi Borlinetto a partire dal 1883 e conservate alla Biblioteca Civica di Padova. Punti di vista inconsueti e la resa di preziosi dettagli accompagnano il visitatore nella seconda metà dell’Ottocento.
Alinari e Anderson
Il percorso espositivo prosegue con le fotografie di Domenico Anderson, che intraprende campagne fotografiche che documentano il patrimonio delle bellezze italiane, fra le quali appunto anche gli affreschi di Giotto. Protagoniste anche le campagne fotografiche della casa editrice Alinari di Firenze, grazie alle quali le immagini della Cappella degli Scrovegni sono inserite nei cataloghi d’arte dal 1906 e iniziano a fare il giro del mondo per mezzo delle edizioni tradotte in lingua francese e inglese. Nel 1952 si deve ad Alinari anche la prima campagna di fotografie della Cappella degli Scrovegni e dei suoi splendidi affreschi a colori.
Giotto al cinema con Luciano Emmer
Giotto diventa però anche soggetto del cinema. Nel 1938 il lo sceneggiatore e regista Luciano Emmer realizza “Racconto da un affresco”, il primo film sulla Cappella degli Scrovegni e Giotto. Emmer è noto proprio grazie ai suoi documentari sull’arte, che conferivano dinamicità e narratività alle immagini. Il film in questione è stato girato in 35 mm, utilizzando una vecchia macchina da presa Pathé del 1913 e una truka artigianale, utilizzata per realizzare animazioni ed effetti speciali. Emmer eseguì lo storyboard disegnando a carboncino sulle fotografie e riprendendo poi fotogramma per fotogramma. Il regista coglie l’umanità e l’emotività dei personaggi rappresentati da Giotto, sottolineando tutta la modernità dell’artista.
Giotto e Pasolini
Anche Pier Paolo Pasolini utilizza Giotto in alcune scene del “Decameron” del 1971. Commenta Federica Millozzi: “L’opera di Giotto viene anche trasmutata nel cinema d’autore con Pasolini che, in uno degli episodi del suo Decameron del 1971, impersona un allievo di Giotto intento ad affrescare la chiesa di Santa Chiara a Napoli”.
Prosegue la Millozzi: “Nel film, Pasolini-Giotto sogna una personale interpretazione del Giudizio Universale partendo dall’iconografia della Cappella degli Scrovegni: nella sua visione il Cristo Giudice diventa una Madonna col Bambino con il volto imperscrutabile di Silvana Mangano e tutta la parete affrescata si anima in un tableau vivant con schiere angeliche di bambini dalle luminose aureole geometriche a definire il Paradiso contrapposto all’Inferno animato da diavoli intenti a infliggere pene eterne ai dannati, le stesse che Giotto aveva dipinto. In basso un povero giovane vestito di stracci sorregge il modello della Cappella degli Scrovegni, precisamente ricostruita in un plastico. L’affresco diventa cinema che restituisce la sostanza della materia, in una incessante veicolazione di valore artistico che annulla il tempo”.
Tecnologia immersiva per entrare nel mondo di Giotto
Grazie alla tecnologia, infine, il visitatore ha la possibilità di immergersi nella ricostruzione digitale del capolavoro di Giotto, facendo da ponte tra le possibilità delle tecnologie immersive del mondo di oggi e l’innovazione di Giotto, che accoglieva l’osservatore nelle narrazioni dei suoi stessi affreschi.
Donvito: “Preziose stampe e lastre fotografiche”
Commenta Vincenza Donvito, responsabile delle Biblioteche civiche, in merito al suggestivo percorso espositivo: “Nell’era dell’inesausta produzione di immagini digitali, la mostra offre al godimento degli occhi e della mente preziose stampe e lastre fotografiche, immagini analogiche realizzate da proto-fotografi e fotografi tra Ottocento e primi del Novecento. Si tratta di fotografie, spesso rarissime, salvate dall’oblio nelle preziose collezioni non librarie della Biblioteca Civica di Padova, dalle quali saranno anche esposti acquerelli e disegni dei primi restauratori della Cappella e documenti inediti di Pietro Estense Selvatico, che intuì precocemente le possibilità dell’impiego della fotografia nella salvaguardia delle opere d’arte”.
Veronese: “Sorprendente freschezza”
Francesca Veronese, direttrice dei Musei Civici di Padova, sottolinea – “Lo Scatto di Giotto è una mostra complessa, che intende dare vita a pagine inedite di un racconto che, usando dati antichi e nuovi, pone un accento diverso sul valore del fiore all’occhiello del nostro patrimonio culturale. Le foto d’archivio restituiscono una sorprendente freschezza: mettono in risalto dettagli del capolavoro di Giotto e, al contempo, ci lasciano intuire come la percezione della sua unicità e la necessità della sua salvaguardia siano state ben presenti a partire dai primi dell’Ottocento; e come pian piano l’idea di salvaguardare l’intero contesto, ponendo lì, agli Eremitani, accanto a Giotto, in uno dei luoghi più densi di storia, la sede del Museo si sia fatta strada trovando compimento molti decenni più tardi”.
Una rete per realizzare la mostra
Il percorso espositivo è realizzato grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e di AcegasApsAmga S.p.A., in collaborazione con Scripta Maneant Editori, Factorcoop S.p.A., Emilro Service e con il patrocinio di Commissione Nazionale Italiana UNESCO, Ministero della Cultura, ICOMOS, (International Council on Monuments and Sites) e ICCROM (International Centre for the Study of the Preservation and Restoration of Cultural Property).
Info: orari di apertura mostra: tutti i giorni, 9:00 – 19:00