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Scoperto un nuovo dipinto del giovane Raffaello. Sgarbi: “È soltanto uno scoop giornalistico”.

da | 20 Set 2023 | Arte e Cultura

Una Maria Maddalena dai capelli scuri, la scollatura quadrata, occhi penetranti più che penitenti. Il volto, bellissimo, è quello di Chiara Fancelli, moglie del Perugino. La mano dell’autore però, secondo un gruppo studiosi, è di Raffaello Sanzio. Il dipinto, un olio su tavola di pioppo, datato 1504, 46 cm per 34 cm, appartenente ad una collezione privata all’estero, è al centro di uno studio che sarà pubblicato la prossima settimana sulla rivista scientifica “Open Science, Art and Science” con il titolo “La Maddalena di Raffaello ovvero quando l’allievo supera il Maestro”.

I risultati sono stati anticipati durante una conferenza internazionale a Pergola (Pesaro Urbino) “La Bellezza Ideale-La visione della perfezione di Raffaello Sanzio”, a cui hanno partecipato esperti come madre Maria Cecilia Visentin, docente pontificia specializzata in iconografia religiosa dell’ordine dei Servi di Maria; Annalisa Di Maria tra i massimi esperti internazionali di Leonardo da Vinci e del Rinascimento italiano, specializzata nella corrente neoplatonica, e per la parte scientifica, il professore emerito Jean-Charles Pomerol della Sorbona e Andrea da Montefeltro, ricercatore e scultore. Gli studiosi parlano di “un supremo risultato artistico del Rinascimento italiano”, di un capolavoro di Raffaello riscoperto.

Di un ritratto della Maddalena esiste una versione (alla Galleria Palatina), autenticata come di mano del Perugino, un’altra a Villa Borghese, di bottega. Ma la versione di Raffaello viene ritenuta di gran lunga superiore, dal punto di vista stilistico e tecnico, per grazia e armonia della composizione e per l’uso dello sfumato che evidenza l’influenza di Leonardo da Vinci sul giovane pittore di Urbino. A sostegno dell’attribuzione a Raffaello c’è l’utilizzo della tecnica dello spolvero, per trasferire il disegno preparatorio (impiegata sempre dall’urbinate, mai da Perugino), individuata da analisi di laboratorio eseguite da A.R.T. & Co, spin off dell’Università di Camerino con sede ad Ascoli Piceno. E poi una preparazione del supporto con impasto di gesso e colla animale, strati a base di olio e biacca, pigmenti come il verde-grigio, ocre e terre, polvere di vetro e lacche utilizzate per gli smalti, indispensabili nella creazione degli sfumati, tipicamente raffaellesche, pigmenti compatibili con la tavolozza del “divin pittore”.

Per gli esperti la versione di Raffaello sarebbe precedente a quella di Perugino e sarebbe servita da modello per le altre due. Lo studio analizza anche le proporzioni matematiche usate da Raffaello, “che conosceva la matematica, a differenza di Perugino” spiega Annalisa Di Maria. Secondo lei il quadro rappresenta “una svolta: il pittore di Urbino trovò un suo linguaggio, affrancandosi da quello di Perugino” e superandolo, tanto da essere considerato già all’epoca un maestro. Il dipinto, sempre secondo la studiosa, mette in luce un altro aspetto di cui non si parla abbastanza: il legame tra Raffaello e Leonardo. I due si incontrarono e frequentarono a Firenze, Sanzio ammirò il Da Vici “al punto di immortalarlo come Platone nella sua Scuola di Atene”. Tante analisi, insomma, per spiegare la capacità di “rendere vivo il modello, di farci vedere la sua anima” che accomunava Leonardo e Raffaello.

“Nessuna possibilità”, è stato il commento del sottosegretario Vittorio Sgarbi, storico dell’arte e sottosegretario alla Cultura. “È soltanto uno scoop giornalistico, dal momento che si basa su una conoscenza di pochi trattandosi di un’opera in collezione privata, con la legittima aspirazione del proprietario di possedere un Raffaello. Già è bizzarra l’idea di una Maddalena con le sembianze della moglie del Perugino, come è sospetta la pur legittima propensione di alcuni studiosi a pronunciarsi soltanto su grandi nomi: Raffaello, Leonardo, Botticelli. Perugino basta e avanza. L’opera annunciata come Raffaello – dice – è infatti una versione, forse autografa, di un prototipo di Perugino conservato a Palazzo Pitti, di cui si conosce un’altra versione alla Galleria Borghese”.

La docente di storia dell’arte della Carlo Bo Anna Maria Ambrosini Massari è altrettanto schietta: “Anche i miei studenti sono in grado di capire che quello di Pergola non è Raffaello, sia per la qualità del dipinto, sia per tutti i dati storici e biografici che non vanno in quella direzione. Chiunque può dire tutto, ma per essere accettata una ipotesi va provata con la visione, i confronti, l’esperienza e una profonda conoscenza dei lavori dei pittori dell’epoca. La storia dell’arte è una disciplina con dei metodi rigorosi, in cui non c’è spazio né per fini poco onesti né per l’intelligenza artificiale, che non potrà mai arrivare dove solo occhio, esperienza e conoscenza possono giungere. E vorrei aggiungere che questi scoop danneggiano anche i giovani storici dell’arte, che fanno ricerca onestamente, fanno vere scoperte, ma fanno fatica a farsi largo se l’attenzione è puntata solo sulle notizie sensazionali”.