Lopera La Natività di Caravaggio, rubata nel 1969 dalla Chiesa di San Lorenzo a Palermo, fu oggetto di trattativa tra la mafia e la Chiesa per la sua restituzione. Lo afferma Rocco Benedetto, parroco dellOratorio di San Lorenzo che cercò di recuperare la tela in una videointervista diretta dal regista Massimo DAnolfi nel 2001, ma rimasta inedita fino ad oggi, e pubblicata in esclusiva dal Guardian.
Benedetto dichiara che alcuni mesi dopo il furto della tela fu contattato attraverso una lettera fatta recapitare a casa, nella quale si pretendeva uninserzione sul Giornale di Sicilia in cambio della restituzione del quadro. Lanno scorso gli investigatori hanno confermato che il dipinto si trovava a casa del boss Gaetano Badalamenti. Il regista Massimo DAnolfi, che filmò lintervista per un documento sulle opere rubate a cui stava lavorando, non si rese conto dellimportanza della notizia, che poco dopo fu consegnata alla polizia. «Nella lettera, i ladri hanno dichiarato afferma nell’intervista il sacerdote -: Abbiamo il dipinto. Se vuoi fare trovare un accordo per la restituzione devi inviare questo annuncio sul Giornale di Sicilia». Lannuncio per Cosa Nostra rappresentava il segnale che la Chiesa era pronta a trattare. Il parroco riferì il contenuto della lettera al sovrintendente degli affari culturali di Palermo, che pubblicò la notizia sul quotidiano siciliano.
Due settimane dopo il sacerdote ricevette una seconda lettera con unulteriore minaccia. «La lettera era accompagnata da un pezzo del dipinto, un piccolo pezzo di tela, che voleva chiarirmi che avevano davvero il Caravaggio in loro possesso» spiega padre Benedetto nellintervista. «Sono andato direttamente dal sovrintendente e l’ho informato di ciò che stava accadendo. Gli ho lasciato la lettera e il pezzo di tela». «La mafia stava facendo con il dipinto quello ciò che normalmente fa con le vittime di rapimenti» dichiara D’Anolfi al Guardian. «Avevano inviato un pezzo del dipinto proprio come normalmente mandano un dito o un orecchio di una vittima del rapimento».
Nella lettera si pretendeva una seconda notizia sul Giornale di Sicilia, ma questa volta il sovrintendente rifiutò e riferì tutto alla polizia, sospettando anche che padre Benedetto fosse coinvolto. Il sacerdote fu messo sotto inchiesta e poco dopo ne uscì indenne. «Mi hanno persino impresso le impronte digitali. In seguito il sovrintendente si scusò» dichiara il parroco a DAnolfi. «[Ha] ammesso di aver fatto un errore. Ma a quel punto, il danno era stato fatto».
La convinzione di Benedetto sul coinvolgimento della mafia fu confermata 17 anni dopo aver parlato con il regista, quando gli investigatori, a maggio 2018, hanno dichiarato che il pentito Gaetano Grado aveva affermato che lopera era stata tenuta da Badalamenti e che successivamente un membro della famiglia del boss era stato messo in contatto con un commerciante darte in Svizzera, dove poteva trovarsi il dipinto. Dalle ultime indagini, in base a quanto dichiarato nella relazione in commissione parlamentare, il quadro sarebbe stato trasferito in Svizzera, dopo la morte di Badalamenti a febbraio 2014. Gaetano Grado afferma di non sapere se il quadro si sia salvato, ma ha dichiarato che il mediatore svizzero si proponeva di tagliarlo in quattro pezzi e di vendere i frammenti i collezionisti internazionali. Nel febbraio 2018 Rosy Bindi, capo della commissione antimafia italiana, affermò: «Speriamo di trovarlo e riportarlo a casa sua a Palermo».
Lintervista a padre Benedetto verrà proiettata al Teatro Biondo di Palermo il 15 ottobre durante una settimana di iniziative culturali dellassociazione Le vie dei Tesori con altre opere rubate ancora mancanti.