Work in Progress di Alxander Calder e Waiting for the Sibyl di William Kentridge assieme all’Opera di Roma

da | 10 Set 2019 | Arte e Cultura, Mostre ed Eventi

Foto di “Waiting for the Sibyl”.

“Artisti all’opera” s’intitolava la bella rassegna aperta a Palazzo Braschi da novembre ’17 a marzo ‘18 che raccontava, fra allestimenti bozzetti e sipari, oltre centotrenta anni di collaborazione di artisti italiani e stranieri col Teatro dell’Opera di Roma. Nella sala sedici alcune leggere strutture mobili ricordavano lo spettacolo “Work in progress”, della durata di diciannove minuti, unico nel suo genere, realizzato nel 1968 per le scene e i costumi da Alexander Calder. Le musiche registrate erano di Nicolò Castiglione, Aldo Clementi e Bruno Maderna. La regia di Filippo Crivelli. Quegli elementi che fluttuavano liberamente nell’aria senza piedistalli erano i famosi “Mobiles” così definiti da Marcel Duchamp che avevano preso forma dopo l’incontro di Calder con Piet Mondrian. Fu un evento eccezionale che racchiudeva in sé, oltre la summa delle tecniche costruttive del maestro americano, il suo immaginario fantastico, la sua poetica, la sua idea della materia in movimento. “La mia vita in diciannove minuti”, disse l’artista quando finalmente lo vide in scena.

E’ Filippo Crivelli a raccontare in conferenza stampa quella serata di “trasgressione” all’insegna del coraggio di Massimo Bogianckino allora direttore artistico del Teatro dell’Opera, che aveva chiamato Calder grazie all’aiuto di Giovanni Carandente. Al debutto, data la sua brevità “Work in Progress” fu abbinato in un programma eclettico sul Novecento a “Torneo notturno” di Gian Francesco Malipiero e “Allez-Hop” di Luciano Berio. Mario Missiroli, regista dell’opera di Berio, declinò l’invito per Calder, così la patata bollente toccò proprio a Crivelli che già dirigeva Malipiero. “Fu una bellissima avventura”, dice Crivelli, in poco più di venti minuti il palcoscenico si tramutò in un caleidoscopio. Zeffirelli che era a Cinecittà per Girare “Romeo e Giulietta” la sera della prima era in sala e applaudiva come un forsennato.

A poco più di cinquant’anni, il Teatro Costanzi torna con rinnovato interesse a proporre al pubblico di oggi accanto all’invenzione di Calder un’opera del tutto inedita affidata al genio del sudafricano William Kentridge che giusto due anni fa ha allestito per il Costanzi la “Lulu” di Alban Berg. Non un’operazione nostalgia, ma un confronto ravvicinato fra un genio del Novecento e un maestro del Contemporaneo che ha avuto carta bianca nell’ideare l’evento teatrale non riconducibile al alcun genere, pur essendo costituito da musica, azioni sceniche, luci, video, attori. Perché “ampliare i confini del teatro musicale è una delle sfide che vuole lanciare il Teatro dell’Opera di Roma” dichiara il sovrintendente Carlo Fuortes.

Ed ecco una produzione del tutto nuova, realizzata dal poliedrico artista sudafricano in assoluta libertà. “Ho scoperto il lavoro di Calder all’inverso”, dice Kentridge. Aveva visto delle “gouaches” di Calder in casa di amici, conosceva il suo “Circus”, costruzioni di fili meccanici, le sue idee a cui si era dedicato per la vita, così quando gli arrivò l’invito da parte del Costanzi per realizzare “Una composizione complementare” a “Work in Progress”, aveva bisogno di trovare qualcosa che potesse dialogare con Calder, riprendere la sua giocosità, le sue forme, senza però diventare una seconda copia più povera. Ed ecco l’idea. “Alla fine del Paradiso di Dante c’è la storia riguardante la Sibilla Cumana” che scriveva il destino su una foglia di quercia che il vento faceva volare via. Kentridge, che lavora molto con la carta, trasforma le foglie in pagine che fluttuano nell’aria, scompaginate dal vento, come le sculture semoventi di Calder. Cosicché il futuro nessuno lo potrà svelare.

L’invito del Teatro era per un’opera in cui fosse utilizzata solo musica registrata, senza un’orchestra, un coro, un cantante. Così ha invitato due compositori a lavorare con lui sul progetto, Nhlanhla Mahlangu che lavora molto con la voce, con cantanti e cori e Kyle Shehlangu, noto pianista jazz sudafricano. Ma la magia del pezzo veniva creata solo dall’esecuzione dal vivo ed è così che sarà in teatro. In scena ci sarà anche la Sibilla del Paradiso di Dante, con il volume che raccoglieva tutte le pagine della conoscenza e della sapienza del mondo. “Ma quel libro, oggi, si disintegra, non c’è più”. Sul palcoscenico campeggerà un grande testo costruito con collage, proiezioni, dipinti. Nove artisti sul palco per otto brevi scene fra danzatori e cantanti. In tutto trentacinque minuti accompagnati dalla musica registrata di uno dei maggiori pianisti sudafricani, il compositore Shepherd. Gli arrangiamenti vocali sono di Mahlangu. Una creazione priva di parole. Il tema sarà rivelato attraverso sentenze, frasi, enigmi proiettati sullo schermo come ombre.

“Abbiamo cominciato con Calder, abbiamo scoperto una Sibilla e abbiamo trovato le domande a cui la Sibilla doveva rispondere” spiega Kentridge. “Ripensando a tutto questo, ciò che non viene detto nell’opera, ma che sicuramente era nella nostra testa, è il fatto che la nostra Sibilla contemporanea è l’algoritmo che predirà il nostro futuro…Ma c’è ancora una battaglia per cui stiamo lottando aggrappandoci alla possibilità di una Sibilla umana : il desiderio di avere qualcosa diverso da un algoritmo che ci guidi nel modo in cui guardiamo al nostro futuro”.

La serata ripropone nella prima parte “Work in Progress”di Calder e nella seconda parte in prima assoluta “Waiting for the Sibyl” di Kentridge.

Teatro dell’Opera di Roma – Piazza Beniamino Gigli.

Informazioni: tel. 06-481601 e www.operaroma.it

Dal 10 al 15 settembre – Prima rappresentazione: martedì 10 settembre ore 20.30.

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