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“La materia svelata” di Sidival Fila frate minore francescano, artista internazionale. A Palazzo Merulana

da | 9 Set 2019 | Arte e Cultura, Mostre ed Eventi

Foto: Opera di Sidival Fila, dettaglio

E’ un periodo felice, di grande creatività, quello che sta vivendo l’artista Sidival Fila, frate minore francescano che abita sul Palatino. Presente alla Biennale di Venezia col polittico “Golgotha”, primo sacerdote in assoluto ad esporre ai Giardini, una personale presso la Galleria Jerome Poggi di Parigi che fa da apertura al progetto d’installazione che verrà presentato presso la fiera Art Basel Miami a dicembre. Poi una grande rassegna nel Museo Diocesano di Trento a un anno di distanza dalla prima monografica e ora l’ampia mostra “La materia svelata” aperta a Palazzo Merulana dal 6 settembre al 5 ottobre che invade tutto l’edificio, una volta Ufficio d’Igiene della capitale, un elegante e maestoso edificio inaugurato nel 1929, lasciato in abbandono per decenni e restituito a un uso pubblico culturale per iniziativa della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, in cui è ospitata la loro collezione d’arte affidata in gestione a Coopculture.

Lo incontriamo mentre lavora con ago e fili colorati su una lunga striscia di seta del settecento tessuta a telaio jacquard, per l’esposizione di Miami Basel. Tutto intorno, nell’immenso luminosissimo salone, appoggiate alle pereti, le opere pronte per l’esposizione. Il luogo ha dell’incredibile. E’ il convento seicentesco annesso alla Chiesa di San Bonaventura sul Palatino, oltre l’Arco di Tito. E’ abitato da tre frati, una volta ce n’erano un’ottantina. Lungo un corridoio in alto spicca un Crocifisso in cera carnauba del XVIII secolo, realizzato con tessuti antichi rattoppati. I frammenti utilizzati dalle suore per suturare le lacerazioni sono i sacchi che contenevano le derrate alimentari del piano Marshall, vengono da un convento di suore del senese. E il pensiero corre subito ai sacchi di Burri. Dalle finestre dell’altana lo sguardo si perde a 360 gradi dal Colosseo alla Cupola di San Pietro, in basso la Vigna Barberini, in lontananza silenziose sfrecciano le automobili. Uno ambiente incredibile. Neppure Picasso avrebbe potuto immaginarlo, lui che pure un secolo fa a Roma con i Balletti Russi poteva disporre di uno studio tutto suo a Villa Medici.

E’ in questo paradiso che vive e lavora Sidival Fila, una vita caratterizzata da nette cesure. Nato nel ’62 in Brasile nello Stato del Paranà, il nome di origine tedesca ricorda una nonna, ha cominciato a dipingere da adolescente prediligendo la pittura e guardando agli impressionisti dell’800. Nell’85 si trasferisce in Italia e approfondisce l’interesse per l’arte maturando anche la vocazione spirituale. Entra così nell’Ordine dei Frati Minori di San Francesco d’Assisi e nel ’99 viene ordinato sacerdote. Esercita il ministero presso il Policlinico Agostino Gemelli e il Carcere di Rebibbia, dividendosi fra il Convento di Vitorchiano e quello di Frascati. Una vita monastica che per diciotto anni sembra aver cancellato la sua passione d’arte. Ma è solo una lunga pausa prima di riprendere con una diversa consapevolezza, misurandosi con tecniche e materiali diversi fino a giungere alla materia, all’”eloquenza della materia”. Nel 2007 la prima mostra nel Convento di San Bonaventura a Frascati, seguita da collettive nazionali e internazionali e da personali in importanti sedi espositive , il Madre di Napoli, il Macro, l’ex Gil e il Bilotti di Roma, la Galleria San Fedele di Milano, il Palazzo Ducale di Sassuolo.

Il suo complesso percorso artistico, il suo lavoro d’indagine è delineato in tutte le sue sfaccettature nella biografia firmata da Elisa Coletta, pubblicata da Silvana Editoriale. Nelle prime opere degli anni Ottanta appaiono già gli aspetti che caratterizzeranno la sua successiva produzione, l’uso di griglie, di colori stesi su tele di cui s’intravede la trama. Quando dopo una pausa di diciotto anni riprende il pennello in mano i modelli sono quelli americani, Pollock, dripping realizzati a smalto su superfici di diversa natura e grandezza, colature, la scoperta delle superfici irregolari come la juta e della materia in quanto tale. E’ la materia il supremo interesse dell’artista. Materiali umili, oggetti di scarto, tela, carta, lino, seta, pergamene, vecchi abiti liturgici come le dalmatiche, stoffe antiche tessute a mano o a telaio, a cui Fila vuole restituire la voce, raccontarne la storia, far emergere le vibrazioni, restituire dignità.

La mostra di Palazzo Merulana si snoda lungo tutto il percorso inframmezzata alle opere della collezione permanente a partire dalla Sala delle Sculture a piano terra, dove spicca in alto una dalmatica del ‘700 in stoffa jacquard in forma di colomba. In un angolo l’opera di Antonietta Raphaël “Genesi n 2” del ’47 compare come una rivelazione, velata da una installazione tridimensionale. Si prosegue al secondo piano nel grande salone dedicato all’arte a Roma tra “Valori Plastici” e “Realismo Magico”. Sulla parete di fondo si staglia il grande bassorilievo in gesso dei cavalli che s’ispira al fregio di Fidia del Partenone di Duilio Cambellotti. Al centro della sala svetta di Jean Fabre “L’uomo che dirige le stelle”, un bronzo al silicio del 2015. All’inizio della sala, poggiati su una base, “Le quattro stagioni “(Primavera, Estate, Autunno, Inverno) terracotte policrome del’39-’41 di Leoncillo, altro amato artista della coppia dei collezionisti. E sulle pareti il meglio del meglio di quegli anni favolosi. Da Scipione a Trombadori, a Edita Broglio, Mafai, Mazzacurati, Janni, Ziveri, Ferrazzi, Gentilini, Cagli, Cavalli. E il Capogrossi, maestro della pittura tonale de “I canottieri” del’33 e di “Ballo sul fiume” del ’36. L’anteprima è nella saletta dedicata a “Primo Carnera campione del mondo” del ’33, considerato per i pixel il primo quadro della pop art che ha rivelato sul retro un dipinto futurista del’26 “Vaprofumo”, firmato “FUTURBALLA”. E il quadro da cui tutta la collezione ha preso il via, gli incantevoli “Piccoli saltimbanchi” di Antonio Donghi, acquistato dai Cerasi nell’85 appena ritrovato negli Stati Uniti, dopo averlo perso di vista. E’ in questo salone che sono esposti i pezzi di maggiore dimensione di Fila. Come una “cutra” siciliana, una coperta a rilievo di cui si vede la trama. Il percorso si conclude al terzo piano dedicato interamente all’artista con una sezione intitola significativamente “Vestigia”. Sono esposti 18 “quadrucci” realizzati con carte del ‘500 e ‘600, piante, scritti, palinsesti racchiusi in cornici antiche che conservano residui di sigilli, di muffe. Che l’artista risana, ma non rimuove perché conservino le tracce del tempo. Fila lavora su un piano, con cuciture, pieghe, velature ottenute dai fili colorati che si sovrappongono e successivamente tende il tessuto sul telaio e lo monta. Un lento e accurato lavoro artigianale che assume la forma di una preghiera, di una contemplazione. Sono pagine sospese, in tensione, come corpi vivi. Come avviene con le opere esposte lungo il corridoio, incisioni antiche, tessuti rattoppati che portano le ombre, l’usura, i segni del tempo. E nell’ordito e nella trama raccontano la loro storia, epoche e uomini del passato. I verbi tramare e ordine, di significato negativo, assumono nella poetica di Fila un’accezione positiva. Rimandano a un lento processo di rivitalizzazione della materia utilizzata, che viene rigenerata e sottoposta a una particolare forma di riscatto che la ne fa comprendere le vicende nel presente.

Palazzo Merulana, Via Merulana 121 Roma. Orario 10.00 – 20.00 da venerdì 6 settembre a sabato 5 ottobre 2019. Informazioni tel. 06-3996780

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