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“Magnifici ritorni” Tesori aquileiesi dal Kunstistorisches Museum di Vienna

da | 11 Giu 2019 | Arte e Cultura, Mostre ed Eventi

E’ frutto di una felice collaborazione europea la mostra “Magnifici ritorni” che celebra i 2200 anni di fondazione di Aquileia, la città che si apre verso l’est, luogo di scambio e di dialogo fra occidente e oriente, cultura classica e cristiana. Riporta temporaneamente nel luogo in cui vennero scoperti reperti antichi di straordinario valore storico-artistico che raccontano la storia della città fondata nel 181 a. C. come avamposto contro i barbari dai triumviri Lucio Manlio Acidino, Publio Scipione Nasica e Gaio Flaminio. Una città importantissima nello scacchiere internazionale sia in antico (per estensione e importanza era la quarta città dell’impero), cruciale dal punto di vista strategico-militare a pochi chilometri dal limes danubiano, frontiera per eccellenza dell’impero, sia nell’Ottocento facendo parte dell’impero Austro-Ungarico. Una città famosa nel mondo per i suoi mosaici lavoro delle maestranze nordafricane che avevano operato a Piazza Armerina in Sicilia, ricca di monumenti antichi, il Foro, la Basilica, il Circo, la Zecca, molti da riportare ancora alla luce e di epoca cristiana con la vittoria del cristianesimo sul paganesimo dopo l’editto di Costantino nel 313 d. C.

La Fondazione Aquileia presieduta dall’ambasciatore Antonio Zanardi Landi, insieme al Polo Museale del Friuli Venezia Giulia e al Kunstinstorisches Museum di Vienna, a distanza di quasi 200 anni dal ritrovamento, riportano in Italia dall’8 giugno al 20 ottobre 110 reperti archeologici tra i più significativi del ricchissimo sottosuolo di Aquileia. Un prestito “di tutti i più importanti pezzi” della collezione permanente del museo viennese a cui sono giunti per ragioni storiche. Aquileia, infatti, situata all’estremo margine del confine orientale italiano era parte integrante tra fine settecento e inizio ottocento, quando s’intensificano gli scavi e le ricerche archeologiche, dell’impero austro-ungarico, e quindi i ritrovamenti facevano allora capo al Kunsthistorisches Hofmuseum di Vienna che nasce nel 1891. Ma già prima nel 1882 per iniziativa dell’imperatore Francesco Giuseppe era stato fondato il Museo dello Stato di Aquileia.

La mostra, accompagnata da un bel catalogo Gangemi Editore, che consente a secoli di distanza di mettere a confronto le opere con i luoghi in cui sono state rinvenute, è stata presentata nella superba cornice della Sala della Crociera del Collegio Romano, quasi a sottolineare l’importanza dell’iniziativa. “Non è mai facile riportare opere d’arte importanti nei luoghi di provenienza, per il sottinteso, ma sempre presente, timore che nella coscienza del pubblico e nel dibattito che sempre segue una grande mostra s’insinui il concetto di spoliazione, di ‘portato via’- spiega l’ambasciatore Zanardi Landi – L’apertura e lo spirito di collaborazione di tutti i responsabili del Kunsthistotorisches e il risalto che ai reperti aquileiesi viene dato nelle sale espositive viennesi ci fanno capire invece che il rapporto Vienna – Aquileia è davvero molto positivo e che in realtà in quella sede Aquileia ha una sorta di ‘succursale austriaca’, afferma. Del tutto positiva la mostra anche per Massimiliano Fedriga presidente della Regione, “rinsalda i legami fra Aquileia e Vienna” e “prima ancora che culturale è un evento di valenza geopolitica”, dice. Un’importanza ribadita in perfetto italiano da Georg Plattner direttore delle antichità greche e romane del museo viennese che precisa come a partire dal 1817 siano stati inviati a Vienna circa 340 reperti antichi di Aquileia, 45 dei quali, nel 1921 nell’ambito delle restituzioni all’Italia post prima guerra mondiale, tornarono ad Aquileia e vennero presentati a Palazzo Venezia in una grande mostra nel 1923.

“La mostra ci riporta ai tempi pionieristici dell’archeologia aquileiese tra il tardo Settecento e il primo Ottocento – dice Cristiano Tiussi direttore della Fondazione Aquileia – Siamo ancora all’epoca degli scavi occasionali, che sebbene determinati dall’unico scopo di recuperare tesori antichi, hanno condotto a scoperte di notevolissimo rilievo, talvolta avvolte da un’aura di mistero. In un certo senso – prosegue – essi preparano le prime indagini di ampio respiro degli archeologi austriaci, quelle effettuate nell’area del circo e delle mura tardoantiche tra il 1872 e il 1875 e, soprattutto, quelle importantissime avviate nel 1893 attorno al complesso basilicale”. L’invio nella capitale dell’impero asburgico, visto con gli occhi di oggi, appare così come l’unica alternativa al collezionismo privato e alla conseguente dispersione sul mercato antiquario.

Le opere aquileiesi prestate da Vienna sono esposte nel Museo Archeologico Nazionale, l’antica Villa Cassis Faraone, restaurato l’anno scorso, ricorda Luca Caburlotto direttore del Polo Museale del Friuli Venezia Giulia. Al pianterreno l’architetto Giovanni Croatto ha sistemato le opere scultoree, al secondo piano riaperto per l’occasione le altre, in particolare anelli e gemme. Si tratta di veri e propri capolavori che raccontano la storia della città e della sua riscoperta.

Ed eccoli i capolavori aquileiesi. Tra i “magnifici ritorni” il pezzo più noto è indubbiamente il “Rilievo di Mitra Tauroctono” in marmo ritrovato nel 1888 assieme a un altare a est di Aquileia nei fondi Ritter di Monastero. Venne acquistato l’anno dopo dal barone Carlo von Reinelt di Trieste che lo donò all’imperatore Francesco Giuseppe, cosicché nelle sale del museo rimase solo un calco in gesso. Di forma elissoidale, unica nel suo genere, rappresenta il dio Mitra con il berretto frigio, il serpente, lo scorpione, nell’atto di uccidere il toro sacro. La scena simboleggia l’inizio di un nuovo ordine cosmico e allo stesso momento la morte e la rinascita. Il culto misterico di Mitra, riservato agli iniziati, escluse ovviamente le donne, si sviluppò in area persiana e si diffuse rapidamente nel II e III secolo fra i militari a Roma e soprattutto nelle province occidentali dell’impero.

E’ datata II sec. d. C. l’Aquila in marmo, scolpita in maniera realistica a grandezza naturale, ha le ali aperte e alza la testa allungando il collo come se stesse guardando qualcosa, Considerata nell’antichità come il più nobile degli animali, rappresentata nelle monete e nell’araldica, è simbolo del potere dell’impero, l’unico degli uccelli divini ad annunciare la vittoria e messaggero e aiutante di Giove. Venne usata come simbolo per la carta intestata di Etienne Marie Siauve, commissario di guerra dell’esercito napoleonico e grande conoscitore di antichità. Fu donata a Vienna nel 1817 da Girolamo de Moschettini, responsabile delle antichità di Aquileia.

Splendida la c.d. Venere del I sec. C. rinvenuta nel 1824 dal sacerdote Antonio Supanzig negli scavi all’interno di una sua proprietà. Fu venduta quattro anni dopo alle collezioni imperiali di Vienna. Rappresenta una divinità femminile con un mantello che avvolge i fianchi lasciando scoperto il seno. Derivata da un’elaborazione ellenistica di II sec. a. C. della famosissima Afrodite Cnidia di Prassitele, opera del IV sec. a.C. che per la prima volta rappresentava la divinità completamente nuda. La presenza sul sostegno di una roccia e di un delfino ha fatto pensare a una Ninfa o a una divinità in rapporto con il mare.

Fra i più suggestivi e problematici monumenti che l’antichità classica ci ha tramandato, scrive in catalogo Francesca Ghedini, c’è la “Patera d’argento con allegoria della fertilità”, rinvenuta nel 1816 in un’area tra il Foro e il Porto Fluviale verso la località di Monastero, databile alla seconda metà del I sec. a. C., assicurata per 3,5 milioni di euro. Tutta la superficie è resa ad alto rilievo con decorazione a sbalzo rifinita a cesello e dorature a rappresentare una scena legata al mito di Demetra, della natura fertile e delle stagioni. Al centro Trittolemo, l’eroe civilizzatore che insegnò ai greci l’arte dell’agricoltura. Finita non si sa come nelle mani del conte Francesco Leopoldo Cassis che possedeva beni nella contrada venne da lui donata nel 1825 all’imperatore d’Austria Francesco I.

Testimonianza del ruolo svolto dalla chiesa aquileiese nei primi secoli della cristianità la Croce monogrammatica rinvenuta alla metà dell’Ottocento durante l’aratura di un vigneto in località Monastero. Una croce bronzea massiccia del IV – V sec d. C. che era esposta al centro della Basilica donata nel 1874 all’imperatore dal barone Ettore von Ritter. La croce richiama il simbolo del Chrismon dato dall’intersezione delle iniziali del none greco di Cristo. Rappresenta uno dei simboli cristiani più antichi. Le lettere “alpha” e “omega” appese al braccio orizzontale della croce latina ricordano le parole della Bibbia. “Io sono l’Alpha e l’Omega, dice Dio, il Signore, che è stato, che è e che verrà, il Signore di tutta la creazione”.

E poi mervigliosi sigilli, gemme incise in diaspro rosso, verde, in corniola, plasma, sardonice, calcedonio e trasformate in anelli.

Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, via Roma 1. Orario: da martedì a domenica ore 10.00 – 19.00. Fino al 20 ottobre 2019. Informazioni: www.museoarcheologicoaquileia.beniculturali.it e wwwfondazioneaquileia.it

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