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“San Gerolamo nel deserto” di Leonardo ai Musei Vaticani poi a New York e Parigi

da | 24 Mar 2019 | Arte e Cultura, Mostre ed Eventi

Foto: 1) Barbara Jatta direttrice Musei Vaticani; 2) Impronta di Leonardo nell’impasto dei colori sulla tavola LEONARDO DA VINCI (1452-1519) San Girolamo nel deserto 1486-1490 ca. Pinacoteca Vaticana; 3) Veduta del Palazzetto di Innocenzo VIII (1484-1492) detto “Palazzetto del Belvedere” Città del Vaticano; 4) Pinacoteca Vaticana Sala IX.

“Leonardo Il San Girolamo dei Musei Vaticani” è una piccola ma significativa esposizione che presenta un’opera simbolo della Pinacoteca Vaticana, dice la direttrice dei Musei Barbara Jatta illustrando la mostra appena aperta al Braccio di Carlo Magno che rappresenta il contributo dei Musei del Papa alle celebrazioni per i cinquecento anni della morte del genio di Vinci. Un solo dipinto, l’incompiuto “San Girolamo nel deserto” e un documento prezioso a riprova della presenza a Roma di Leonardo, accompagnati da un ricco apparato documentario. Il “San Girolamo” con la sua cornice dorata degli anni Trenta sarà in mostra a piazza San Pietro fino al 22 giugno. Poi dall’8 luglio al 6 ottobre sarà al Metropolitan Museum di New York (dove è già stato nel 2004) , quindi fino a febbraio 2020 al Louvre di Parigi nella grande rassegna su Leonardo. E’ posto all’interno di una teca di sicurezza climatizzata, trasportabile, realizzata appositamente che ha al suo interno un sensore che registra i dati. “Il San Girolamo Padre e Dottore della Chiesa come opera da condividere con i pellegrini (l’ingresso è gratuito), come messaggio di storia, di arte e di fede”, dice la Jatta che con il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ha voluto la mostra.

Il “San Gerolamo nel deserto” è l’unica opera di Leonardo presente nelle collezioni pontificie esposta nella Pinacoteca Vaticana e l’unica a Roma. E’ una tempera a olio su legno di noce, incompiuta, a parte il volto del santo, parte della gamba destra e la roccia scura. La sua autografia non è mai stata messa in discussione pur non essendo certa la committenza, Leonardo ne parla solo nelle lettere. La critica è concorde per l’aspetto tecnico, per il “non finito”. Ci sono le impronte digitali del Maestro che dipingeva anche a dito, ricorda Guido Cornini direttore del reparto per l’arte dei secoli XV e XVI dei Musei Vaticani. La tavola, precisa, mostra una grande competenza anatomica. Il pittore rappresenta il santo che si trovava nel deserto per l’esegesi di testi biblici, provato dalla solitudine e dal digiuno, mentre sta per percuotersi il petto indicando lo spazio in fondo. Un paesaggio desertico, scheggiato. Un’ambientazione con elementi stilistici che fa pensare alla “Vergine delle rocce”.

Mentre non ci sono dubbi sull’attribuzione dell’opera a Leonardo, ci sono invece opinioni diverse sul periodo in cui l’ha dipinto. Per alcuni critici, essendo incompiuto come l’”Adorazione dei magi” degli Uffizi e predominando i toni dell’ocra e del verde, risalirebbe al periodo fiorentino (1482-1484), altri invece per la competenza anatomica e l’ambientazione lo assegnano al periodo milanese, più tardo (verso il 1490) vicino alla “Vergine delle rocce”, un’opera chiave della maturità. E il professor Cornini è fra questi. Un dipinto dibattuto, mancando qualunque appiglio, ma solo per la datazione, che è ballerina.

Veramente rocambolesca, ricorda Jatta, la storia collezionistica del dipinto che viene acquistato dalla pittrice Angelica Kauffmann che morendo nel 1807 lo cita nel testamento facendo il nome di Leonardo. Passa poi al cardinale Joseph Fesh zio di Napoleone che ha il merito di averlo ricomposto trovando i due pezzi in cui era stato diviso presso un ciabattino e un rigattiere. Infatti la parte con la testa del santo era stata staccata dal resto e usata come piano di uno sgabello. Alla morte del cardinale il San Girolamo finisce al Monte di Pietà e viene acquistato nel 1856 da Pio IX su consiglio di Tommaso Minardi e Filippo Agrippa come “dipinto di mano di Leonardo da Vinci e perciò rarissimo e pregevolissimo”. Viene collocato nell’allora Pinacoteca Pontificia che si trovava nella Sala del Bologna dei Palazzi Vaticani, fa poi parte della nuova Pinacoteca di San Pio X inaugurata nella Galleria Vaticana nel 1909, fino a quando nel ’32 Luca Beltrami dedica a Leonardo la sala attigua al salone di Raffaello, il massimo degli onori possibili.

Un solo dipinto e un solo registro in mostra, entrambi di grandissimo valore, perfetto omaggio al genio. Viene dall’archivio della Fabbrica di San Pietro l’unico documento che attesta la presenza di Leonardo a Roma. Una notizia nota grazie a Giorgio Vasari, che trova conferma nelle carte. Sappiamo che Leonardo giunge a Roma il 24 settembre 1513 su invito di Giuliano de’ Medici duca di Nemours (rappresentato da Michelangelo nelle Cappelle Medicee), nipote del Papa Leone X, per svolgere mansioni simili a quelle esercitate a Milano per Ludovico il Moro, come tecnico, ingegnere, musico. Ci rimane tre anni, fino al 1516. Il documento, il registro delle spese, riporta al rigo 134 il nome di Leonardo da Vinci. Una specie di imprenditore architetto che lavorava con il Bramante era stato incaricato di preparare l’alloggio, tavolo, scansie, credenza, piano di lavoro per l’architetto, il pittore, lo scienziato. Che agli impegni per la nascente basilica di San Pietro preferisce gli studi di matematica e i progetti di opere di bonifica delle Paludi Pontine. I locali sono quelli dove oggi c’è il Museo Pio Clementino. “Possiamo dire che è stato lì, lo ricorda anche una lapide”, dice Cornini. Allora era il palazzetto del Belvedere, il cuore della città delle arti dove operava una vivace comunità di artisti. Negli anni in cui Leonardo è a Roma erano attivi i cantieri del Bramante per il nuovo San Pietro, Raffaello era impegnato nelle “Stanze”(1508-1514) e Michelangelo nella Cappella Sistina (1508 -1512).

Un video realizzato per l’occasione presenta un compendio degli argomenti della mostra raccontando sinteticamente il dipinto, la sua esecuzione, la sua conservazione, la sua storia collezionistica, l’acquisizione nelle collezioni pontificie. Uno spaccato dei Musei Vaticani e del soggiorno romano dell’artista utilizzando i testi dei curatori, materiali d’archivio e realizzati appositamente. C’è anche la registrazione del restauro del San Girolamo firmato nel ’93 da Fabrizio Mancinelli e Gianluigi Colalucci. Una pagina affascinante di storia.

Braccio di Carlo Magno, Piazza San Pietro. Orario: lunedì – martedì – giovedì – venerdì 10.00 – 18.oo; mercoledì 13.30 – 18.00. Domenica e festività religiose chiuso. Fino al 22 giugno. Ingresso libero.

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