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“Il sorpasso. Quando l’Italia si mise a correre, 1946-1961”. 15 anni in 160 scatti

da | 17 Ott 2018 | Arte e Cultura, Mostre ed Eventi

Foto: Sophia Loren legge di Gagarin, 1961 – Foto Archivio storico Luce

A catalizzare l’interesse dei visitatori, il giorno dell’inaugurazione della mostra “Il sorpasso. Quando l’Italia si mise a correre, 1946 – 1961”, curata da Enrico Menduni e Raffaele D’Autilia, è la Lancia Aurelia B 24 convertibile del 1956, colore celeste Pinin Farina, 2500 di cilindrata, interno in pelle beige, con radio e mangiadischi d’epoca. E’ di proprietà di Adalberto Beribè, un collezionista di Civitanova Marche, ed è stata utilizzata nel film “Il sorpasso” capolavoro di Dino Risi del 1962 (da cui la rassegna ha preso il titolo), in cui Vittorio Gassman è l’incarnazione dell’Italia del benessere e del boom economico nel bene e nel male. Nell’androne del palazzo è accanto alla sontuosa Berlina di gala del 1776 costruita e decorata in Francia con molle di fabbricazione inglese, commissionata da Ferdinando Chigi per le sue nozze a Napoli con Giovanna Medici d’Ottajano. Donata dai Chigi Albani della Rovere del 1950. Una vettura che dà il benvenuto ai visitatori del palazzo di papa Braschi, per una volta in compagnia di una Lancia d’epoca.

L’occasione è la grande mostra fotografica con materiali provenienti dagli archivi storici dell’Istituto Luce in collaborazione con il comune di Parma e il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, città dove la mostra sarà visibile al a Palazzo del Governatore dall’8 marzo al 5 maggio, Ad essi si aggiungono prestiti di archivi fotografici storici importanti, come quello dell’Eni, nonché di privati cittadini. La rassegna è stata promossa dall’Istituto Luce e dal Comune di Roma e realizzata col supporto organizzativo di Zetema (catalogo Silvana Editoriale – Istituto Luce Cinecittà). In tutto 160 scatti fermati su pellicola. I curatori sono gli stessi che l’anno scorso hanno lavorato, a Palazzo Braschi per l’esposizione di foto che documentavano la seconda guerra mondiale vista dai fotoreporter americani. Né politica, né giudizi, ma il racconto dei fatti dando spazio alle posizioni e alle opinioni più diverse. E alle passioni, la scelta monarchia repubblica, i contrasti politici, gli eventi positivi e negativi.

L’obiettivo si sposta dalla guerra, alla dura ricostruzione di un paese devastato fino al clamoroso boom economico degli anni Sessanta. Quindici anni intensi e positivi, dal ’46 al ’61, in cui a emergere è un popolo intero nelle singole individualità. Tutti insieme, indipendentemente dalle loro idee politiche, di destra e di sinistra, monarchici e repubblicani, cattolici e non, realizzano ciò che appariva inimmaginabile fino a qualche anno prima. La ricostruzione di un paese che aveva perso la guerra e delle sue infrastrutture, l’industrializzazione, il lavoro, il benessere individuale e lo sviluppo economico e sociale. L’Italia riparte e cresce a un ritmo medio del 5,8% l’anno, nel ’59 la lira vince l’Oscar delle monete, ricorda Enrico Menduni. Sono del ’57 i Trattati Roma fondativi della Comunità Europea, di quegli anni i traguardi raggiunti in campo industriale, nel tessile, nella meccanica, nei computer. Un periodo di forti passioni e contrasti, d’impegno e di voglia e capacità di emergere, di conquistare un posto di rispetto nella comunità internazionale. E cosa c’è di meglio della fotografia per raccontare questa trasformazione che investe tutta la penisola? Il fatto poi che insieme alle foto d’autore, di grandi fotografi nazionali come Gianni Berengo Gardin, Fulvio Roiter, Tazio Secchiaroli, Bruno Munari, Cecilia Manzini, Wanda Wultz, Pepi Merisio, Ferruccio Leiss, Romano Cagnoni, Walter Mori, Italo Insolera, Italo Zannier e stranieri come William Klein, Alfred Eisenstaedt e Gordon Parks, siano stati selezionati anonimi fotografi di agenzia, rende il ritratto ancora più vivo e realistico.

La mostra si snoda lungo le sale del Museo di Roma ordinata in dieci sezioni tematiche partendo dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla ricostruzione per giungere agli anni del boom economico. All’inizio è una corsa alla sopravvivenza. C’è chi si arrangia vendendo alla borsa nera sigarette, medicine, generi alimentari e oggetti introvabili. Ci sono gli sfollati alloggiati alla meglio nelle caserme, le suore che distribuiscono aiuti del Piano Marshall, ma anche cortei nuziali fra le macerie, immagini politiche come quella del colonnello Valerio, a cui è attribuita la fucilazione di Mussolini, che arringa la folla nella Basilica di Massenzio, i successi oltre oceano di Fiorello La Guardia eletto sindaco di New York. E la ricostruzione vera e propria. Dice più di molte parole la foto del pranzo degli operai sopra il viadotto ferroviario appena ricostruito a Bucine, su cui sventolano il tricolore e le bandiere rosse. Una infrastruttura determinante per il collegamento Roma Firenze. E si va avanti. Simbolo della trasformazione l’immagine della coppia in Vespa, lei seduta alla amazzone, davanti a un edificio con una scritta del regime trasformato in una rivendita di legna e carbone.

E rinascita è anche il cambiamento dei rapporti uomo-donna, l’abolizione delle “case chiuse” nel ‘58, lo sport, il ciclismo soprattutto. Il Giro d’Italia porta gli amati campioni sotto casa. E ci si divide fra Bartali e Coppi. Gli eroi della bicicletta. faticano, soffrono caldo e freddo come chi lavora nei campi da cui molti vengono. Un tifo che non ha età, ma è formato soprattutto da uomini. Come quelli che si vedono arrampicati su un tram alla partenza del Giro d’Italia a Roma nel ’49. Non c’è la televisione ma c’è la radio che fa compagnia, che trasmette musica e notizie anche quella della disastrosa alluvione del Polesine del 1949. Ed ecco le immagini della rottura degli argini del Po, il Polesine allagato. Notizie del caso Montesi del ’53, dell’affondamento dell’Andrea Doria nel’56, della tragedia di Marcinelle dello stesso anno. La fotografia documenta ogni cambiamento della società, speranze e timori. L’attentato a Togliatti nel ’48, il ritorno di Trieste all’Italia nel ’53. La diffusione della televisione unisce l’Italia anche dal punto di vista linguistico, sebbene ben pochi all’inizio possono permettersela. E allora si guarda tutti insieme al bar, al cinema. Con il frigorifero e la lavatrice la tv sarà il simbolo del benessere conquistato. E poi le gite al mare la domenica, magari tutti e tre sulla stessa moto, il Settebello, le vacanze, il juke-box, il flipper, il go kart, i 45 giri, il mangianastri. Senza dimenticare il mondo dello spettacolo. In una foto si vedono Luchino Visconti e Lilla Brignone al Festival dei due mondi di Spoleto del 1958, la prima edizione della manifestazione ideata da Giancarlo Menotti. E il cinema. A Napoli la prima di “South Pacific” del ’59, un esperimento di proiezione ad alta definizione. Ma la più emblematica di quegli anni di boom della Hollyvood sul Tevere con i suoi lustrini, è la foto dell’attrice cubana Chelo Alonzo, allora molto nota che tutta sola, appena arrivata all’aeroporto di Ciampino (il Leonardo da Vinci ancora non c’era) aspetta la grande occasione.

Ripercorrere le immagini della mostra per chi ha vissuto quegli eventi è come fare un tuffo nella memoria, ma per chi era troppo piccolo e ne ha sentito solo parlare in famiglia sarà un’esperienza gratificante. Una ricostruzione come questa ha come destinatari in particolare i giovani. Vedere queste foto che raccontano tanto della nostra storia recente suscita emozione in chi ha vissuto quegli anni, o ha conosciuto dalla viva voce di chi c’era cosa succedeva. Ma se ci si limita a questo è solo un’operazione nostalgica, positiva ma improduttiva. La memoria di come eravamo è indirizzata soprattutto a chi è venuto dopo ed ignora o ben poco sa di come gli italiani di allora siano riusciti nell’impresa titanica di ricostruire materialmente il paese e di lanciarlo a livello internazionale. La prova che non si deve mai disperare, né dare per scontato che si realizzino solo le ipotesi negative. Le foto in bianco e nero testimoniano il progresso di una società che si è rimboccata le maniche guardando avanti, lavorando e sperando in un futuro migliore. Come quelle famiglie che dal Sud si spostano verso il triangolo industriale del nord per il lavoro, con tutti i problemi che uno sradicamento comporta. Una visione positiva del domani di cui oggi c’è tanto bisogno.

Museo di Roma Palazzo Braschi, Piazza Navona 2; Piazza san Pantaleo, 10. Orario: dal martedì alla domenica 10.00 – 19.00. Giorni di chiusura: lunedì, 25 dicembre, 1 gennaio, 1 maggio. Fino al 3 febbraio 2019. Informazioni: 060608 e www.museodiroma.it

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