Una passione che diventa mestiere e poi un’arte. Intervista al Professor Antonio Basile

da | 10 Ott 2018 | Arte e Cultura, Persone e carriere

Dedicare la vita a una passione, fare di questa passione un mestiere e di questo mestiere un’arte non è cosa comune. Eppure succede: è la storia di Antonio Basile, fondatore dell’Associazione culturale Fannius, autore e intermediario della prima collaborazione tra MiBACT e MIUR, gestore del primo Laboratorio Didattico in Italia. Nato a Siracusa da un padre artigiano, un giorno si vide affidare dal genitore il papiro e il calamo coi quali avrebbe tracciato il suo destino.

Professore, il Suo è un lavoro unico; potrebbe considerarsi di nicchia. Come nasce questa passione?

La mia passione era tutta attorno a me sin dall’infanzia: mio padre era artigiano, si occupava di restauri, ma realizzava anche papiri; li impreziosiva con miniature in scrittura ieratica e pitture di scene mitiche. Le sue produzioni erano esposte al pubblico nei musei di Siracusa, Palermo e Agrigento, ma la sua fama arrivava molto più lontano. Perfino il Presidente americano Nixon ebbe in dono un suo papiro: un lungo volumen miniato con scene mitologiche, di magnifica fattura, che gli era stato richiesto dall’Ambasciata Americana di Roma. È da questo grande maestro che ho imparato la lavorazione della pianta papiro. Quello che ha segnato la mia vita, tuttavia, è stato imparare ad insegnarlo. La mia missione è tramandare alle generazioni future, come le generazioni passate hanno tramandato a me.

Infatti Lei ha iniziato la Sua carriera all’interno della scuola, vero?

E con la scuola ho proseguito. Nel 1970 ho avuto il primo incarico in una scuola media di Acilia. Qui ho fondato il primo laboratorio didattico: svolgevamo attività di decorazione pittorica e papiri miniati.L’anno seguente ho insegnato in una scuola media di Casal Palocco e anche qui ho riproposto il laboratorio di miniatura, che ha avuto molto successo. Nel 1982 sono stato trasferito nella scuola Montello, a Torre Angela e ho inaugurato il laboratorio all’inizio dell’anno scolastico, con decreto del Provveditorato agli Studi di Roma, poi ho proseguito con la Scuola d’Arte Nicola Zabaglia. Recentemente le attività sono state apprezzate anche a livello accademico, con lezioni rivolte agli studenti di università italiane, come la Sapienza di Roma ed Estere, come lo Smithsonian Institution e l’Accademia delle Belle Arti di Washington. Non ho dovuto convincere nessuno: dopo aver dimostrato che conoscevo e che sapevo fare il mio mestiere, ho avuto porte aperte e carta bianca.

Nelle attività di laboratorio realizzavate anche papiri?

I papiri continuavo a realizzarli, certamente. Nel 1973 composi i primi papiri miniati sulla Roma Imperiale; furono esposti nel bookshop dei Musei Capitolini, fra i libri e l’oggettistica del loro catalogo. Ricordo che lì furono notati dall’allora Soprintendente ai Musei del Comune di Roma, Carlo Pietrangeli, che di quei lavori disse: “dovrebbero essere a Tivoli: fanno parte del suo patrimonio storico e culturale”. Disse questo perché a Tivoli sorgeva, a suo tempo, l’ultima delle ventotto biblioteche di Roma, che custodiva i papiri di Aristotele, i rotoli leggendari della Sibilla Tiburtina, la biblioteca greca e latina di Adriano. Senza contare che, durante il Medioevo, la città fu una famosa produttrice di supporti scrittori: basti fare un riferimento alle cartiere di Mastro Cecco del 1450, o alla tipografia di Domenico Piolati deliberata dal Comune di Tivoli con l’appoggio di Ippolito II d’Este. Il Cardinale stesso conservava, nella sua biblioteca personale, testi papiracei e pergamenacei appartenuti al Convento di Santa Maria Maggiore. Pietrangeli era ovviamente a conoscenza di tutto questo. Il suo commento mi lusingò, perché allora ero molto giovane; ma mi fece anche riflettere.

Cosa scaturì da questa riflessione?

Un progetto. Nel 1977 la Direzione Generale dei Beni Culturali mi invitò a presentare domanda alla Soprintendenza ai Beni Architettonici del Lazio per la concessione di uno spazio dentro Villa d’Este, dove poter ampliare le mie attività di laboratorio a beneficio delle scuole del territorio. Nell’attesa che fosse disponibile Villa d’Este, fui accolto al castello di Rocca Pia, nella Sala del Guardiano, che ristrutturai e dove mi fermai per due anni. Quello che avevo creato e che gestivo era un Laboratorio Didattico ed Espositivo, quindi era aperto alle collaborazioni con le scuole del territorio, ma anche con l’ente preposto al turismo di Tivoli. Era un’attività innovativa: oltre a valorizzare l’arte e la storia di Tivoli, era nata per i ragazzi e si svolgeva prevalentemente con loro. D’altra parte, perché io crescessi era necessario che qualcuno volesse crescere con me.

Nessuno meglio dei ragazzi.

Nessuno. Sono stati soprattutto loro che mi hanno spinto ad andare avanti. La loro partecipazione attiva ed entusiasta ha dimostrato alle autorità che il Laboratorio svolgeva tutte le funzioni per cui era nato: quella espositiva, certo, ma specialmente quella didattica. Infatti, nel 1979 ottenni quello per cui avevo presentato domanda: dalla Soprintendenza per i beni Architettonici del Lazio arrivò il parere favorevole alla concessione dello spazio di Villa d’Este. L’Intendenza delle Finanze di Roma sottoscrisse il contratto di concessione e mi venne accordato l’utilizzo del locale denominato “Grotta di Venere”, che abbisognava di ristrutturazione, ma era già qualcosa.

Quali erano i problemi del locale?

Oh, innumerevoli! Ma quello più urgente era costituito dalle infiltrazioni d’acqua. Continue, ingestibili. Non mi permettevano di lavorare. Dovetti ridurmi a condurre i laboratori dentro una Cabina climatizzata di 3×4 metri, minuscola! all’interno della sala. Lì ho realizzato – con la collaborazione del CNR e di Nazzareno Gabrielli, allora Direttore del Laboratorio scientifico dei Musei Vaticani – la ricostruzione del Papiro del Libro per uscire alla Luce del Giorno, commissionato dalla dirigenza dei Musei Vaticani. Fu un grande successo: il prof. Pietrangeli mi scrisse personalmente per complimentarsi. Disse testualmente: “Il lavoro da Lei eseguito è di una tale perfezione da lasciare veramente stupefatti e ammirati. Il volumen papiraceo da Lei eseguito è esposto nella sala centrale del Museo Gregoriano Egizio.” Lo dico in breve: ho trasformato la Grotta di Venere, precedentemente adibita ad allevamento ittico, in un Laboratorio-Museo apprezzato in tutto il mondo, dedicato alle scuole e fruibile gratuitamente ai visitatori di Villa d’Este.

Gli studenti erano presenti anche durante la ricostruzione di quel volumen?

Certo, sempre! E hanno assistito con interesse. Durante l’anno scolastico 1984-85, sulla scia dei successi ottenuti soprattutto relativamente agli studenti, il Ministro della Pubblica Istruzione, allora la Dott.ssa Falcucci, inoltrò alle scuole del Lazio due circolari didattiche in cui sottolineava l’eccellenza del laboratorio e invitava gli studenti di tutta la regione e prendervi parte. Loro accorsero, eccome! Erano talmente numerosi che dovetti presentare alla Soprintendenza dei Beni Architettonici del Lazio un nuova domanda per ottenere un altro spazio. A gennaio del 1989 mi fu concesso l’uso della sala a sinistra del laboratorio di Villa d’Este, con progetto esecutivo approvato dalla Soprintendenza e dal Ministero dei Beni Culturali. Anche allora avviai subito i lavori di ristrutturazione, naturalmente a mie spese; ma non fu sufficiente. Nel 1996, a causa delle continue infiltrazioni d’acqua che rallentavano, addirittura danneggiavano i laboratori, chiesi di poter spostare le attività in uno spazio all’interno del Museo della Civiltà Romana, a Roma Eur. Mi venne concessa la sala dov’era presente la ricostruzione della Biblioteca Romana di Adriano Imperatore, progettata e realizzata secondo il modello originale. Io la arredai nei minimi particolari con oggetti destinati alla scrittura e alla lettura nel mondo romano, che avevo riprodotto precedentemente nel Laboratorio di Villa d’Este: volumina papiracei, umbilici, tavolette dealbatae, kalami e inchiostri. Impreziosii ogni nicchia, fu un lavoro poderoso! Mi ci vollero quattro anni per terminare, ma riuscii a ricreare un ambiente unico, straordinariamente simile a quello che doveva essere l’originale. Qui accoglievo oltre 9000 studenti l’anno, di cui conservo ancora le firme su libri lintei e volumina papiracei.

Nel frattempo, il Laboratorio di Villa d’Este rimase inattivo?

Al contrario! Avevo avviato ormai collaborazioni internazionali, non volevo e non potevo cessare le attività. Il 1989 – per intenderci, l’anno della famosa infiltrazione che mi costrinse a spostarmi – fu un anno particolarmente interessante. Ricordo che terminai e consegnai la ricostruzione del Papiro di Kha in scrittura geroglifica. Lo eseguii per conto del McClung Museum, Università del Tennessee – USA. Riprodussi gli inchiostri neri a base di nerofumo, quelli rossi a base di ocra rossa e mi procurai dei pennelli costruiti con fasce di fibre vegetali di dimensioni e finezze diverse, asseconda delle campiture da realizzare. La sua esecuzione fu singolarmente impegnativa, ma affascinante oltre ogni dire. Quell’anno tagliai anche un altro traguardo, ben più importante, perché riguardava le scuole: il MIUR e il MiBACT siglarono un Accordo Quadro perché fosse garantita la collaborazione e l’interazione costante tra Beni Culturali e Didattica, come accadeva nel mio Laboratorio, anche in altre strutture sul territorio nazionale.

La Sua arte, dunque, ha mosso Università e Musei, ma anche istituzioni pubbliche. Oggi sembra una favola.

Beh, le cose sono cambiate; forse sono peggiorate. Allora la politica fu molto attenta all’attività che svolgevo. La collaborazione con le scuole era ormai intensa e talmente collaudata che mi concessero un altro spazio, questa volta a Villa Adriana, nel 2003. I lavori di ristrutturazione del locale designato si sono protratti fino al 2017. È nato come distaccamento del Museo didattico di Villa d’Este, ma si tratta di un laboratorio: il Laboratorio di archeologia Libraria e Bibliotecaria. Il progetto è stato richiesto e voluto dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio ed è nato grazie ad una sinergia tra Regione Lazio, Comune di Tivoli e Mibac.

A quale prezzo è riuscito a portare avanti quest’attività così speciale?

Sacrifici, senz’altro, anche economici, perché le sovvenzioni pubbliche si sono spesso fatte attendere; tuttavia, sacrifici appagati, dal primo all’ultimo, da grandi soddisfazioni. Cinque Soprintendenti hanno voluto la nascita dei miei laboratori; ho avviato e mantengo collaborazioni con personalità di fama internazionale, con poli didattici e museali e con il CNR. Oggi il Laboratorio vanta dotazioni di strumentazione scientifica d’avanguardia, un bacino d’utenza elevatissimo, un team d’eccezione. Ed è tutto a disposizione delle scuole, della ricerca scientifica, della tutela e valorizzazione dei beni culturali. Sono stato fortunato, perché il mio lavoro mi ha permesso di essere utile, da privato, alle istituzioni pubbliche; almeno a quelle che hanno a che fare con la cultura. Io e i ragazzi, insieme, abbiamo reso la storia libraria e bibliotecaria del territorio grande agli occhi dell’Italia. Che dico? Del mondo!

E per questo ha sempre ricevuto il plauso delle istituzioni.

Fino a oggi è stato così. Ma le cose, come dicevamo, cambiano, e spesso non in meglio. Nel luglio 2017, la Regione Lazio ha finalmente comunicato al Comune di Tivoli la conclusione dell’iter amministrativo relativo ai lavori di allestimento del Laboratorio didattico di Villa Adriana; qualche mese più tardi, proprio quando tutto è pronto per essere utilizzato, dall’attuale direzione delle Ville abbiamo ricevuto ingiunzione di sfratto. Ci chiedono di smantellare entrambe le sedi.

Quali sono le cause dello sfratto?

Un contratto scaduto che non vogliono rinnovare, per quanto riguarda Villa d’Este. Il Laboratorio di Villa Adriana, invece, è destinato a diventare un bar, ammesso che la struttura abbia le caratteristiche adeguate, perché è stata progettata per le scuole, di conseguenza è pensata per accogliere e ospitare ragazzi. Non è del tutto chiaro come questa chiusura sarà giustificata al MiBAC e alla stessa Regione Lazio, che ha versato cospicue somme per la ristrutturazione dei locali e per l’allestimento della struttura a beneficio della didattica e della ricerca scientifica. Inoltre mi chiedo che cos’abbia in serbo il Direttore delle Ville, Andrea Bruciati. Faccio un esempio: quale attività potrebbe essere più calzante, nella Villa di Adriano, di un Laboratorio che recuperi il patrimonio librario di Adriano, che aveva allestito ben due biblioteche – greca e latina – all’interno della sua dimora? Al di là del mio personale annichilimento davanti a una notizia del genere, il grande interrogativo è: per quale motivo? Il Museo e il Laboratorio sono casi unici in Italia, nati su precisa volontà delle istituzioni competenti, le stesse che adesso dimostrano un’assoluta, terribile indifferenza! Questo è paradossale. Non dico di non aver incontrato varie difficoltà di tale natura nel corso degli anni; ma questa mi pare incomprensibile, soprattutto perché priva di cause reali.

Come si comporterà davanti a questo sfratto?

Mio padre diceva sempre: “Quando la legge con la ragione contrasta, la legge cede e la ragione non basta”. Io lo confermo, perché così è successo a me. In trent’anni di attività, ho agito sempre ragionevolmente e sempre a norma di legge. Chi inoltra lo sfratto, invece, sta usando la forza. È un sopruso. E davanti ai soprusi non si abbassa la testa. Lotterò, come ho fatto fino ad adesso. Lo farò per il mondo della scuola, per tutti coloro che hanno lavorato con me e per chi, come me, crede che la bellezza e la cultura italiana meritino molto più di quanto sia stato loro tributato. La mia, d’altronde, è nata come una missione: non l’ho portata avanti né per essere lodato, né per essere criticato, ma perché i frutti del mio impegno rimanessero nelle mani di chi, dopo di me, potrà farne buon uso. Quello che ho fatto per Tivoli non è stato un lavoro: è stato un atto di fede. Oso sperare di non essere l’unico a crederci così fermamente.