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Tintoretto a Venezia. Da Palazzo Ducale alle Galleria dell’Accademia

da | 11 Set 2018 | Arte e Cultura

Foto: Robusti J. detto Tintoretto, 1-Conversione di san Paolo; 2-Apollo e Marsia; 3-Estate;

4-Miracolo dello schiavo

“Mai sono stato così totalmente schiacciato a terra dinanzi a un intelletto umano quanto oggi davanti a Tintoretto…” scriveva il 24 settembre 1845 in una lettera al padre John Ruskin. “Quanto alla pittura penso di non aver saputo che cosa significasse fino a oggi”, e prosegue ricordando la velocità con cui inventava e dipingeva una figura intera e come accumulava schiere su schiere, senza mai fermarsi, senza mai ripetersi, nuvole e vortici e fuoco e infinità di terra e mare. “Per lui niente fa differenza”. E prima di lui “Stravagante, capriccioso, presto e risoluto e il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura” lo definisce Giorgio Vasari nelle “Vite”. “Il più arrischiato pittore del mondo”, secondo il suo biografo Carlo Ridolfi. Jacopo copiava dal vero modelli e gessi studiando i particolari effetti a lume di candela, mettendo in piedi un teatrino, realizzando teleri smisurati, racconta. Ma la rapidità con cui lavorava, la sua “prestezza” dovuta all’utilizzo di una tecnica particolare era anche molto criticata tanto che per Marco Boschini era “un praticon de man”.

Nel cinquecentesimo della nascita di Jacopo Robusti (1519-1594), uno dei figli più cari di Venezia, la Fondazione Musei Civici, guidata da Gabriella Belli, in coproduzione con la National Gallery of Art di Whashington e con la collaborazione della Galleria dell’Accademia, il contributo di Save Venice Inc e il sostegno di Louis Vuitton, lo celebra con un progetto ricco e complesso che fa il punto sugli studi, sul catalogo delle sue opere, sulla collaborazione dei figli Domenico e Marietta, sul problema della bottega. Un’impresa così poteva essere immaginata solo a Venezia, precisa la Belli, perché “Tintoretto è Venezia” e perché l’ultima grande mostra in laguna si è tenuta nel lontano 1937 a Ca’ Pesaro. Il lavoro iniziato tre anni fa coinvolge tanti studiosi italiani e stranieri e tutta la città e le chiese e confraternite in cui si trovano le sue opere che lì sono rimaste e lì si potranno vedere. Dalla Scuola Grande di San Marco che ospita una mostra su “Arte, fede e medicina nella Venezia di Tintoretto”, alla Scuola Grande di San Rocco, il suo capolavoro dove lavora per 25 anni, ai palazzi e alle tante chiese con percorsi guidati, prime fra tutte la Chiesa della Madonna dell’Orto dove si trova la sua tomba.

E due fantastiche mostre, a Palazzo Ducale nelle magnifiche sale dell’Appartamento del Doge l’ampia retrospettiva “Tintoretto 1519-1594” (50 dipinti e 20 disegni autografi), curata da due dei massimi esperti dell’artista, gli americani Robert Echols e Frederick Ilchman (catalogo Marsilio), che da marzo a luglio sarà negli Stati Uniti, e alla Galleria dell’Accademia, nelle ampie sale a pianterreno restituite da pochi anni a spazio espositivo dopo il trasferimento dell’Accademia di Belle Arti nell’ex Ospedale degli Incurabili alle Zattere, “Il giovane Tintoretto” (58 opere di cui 26 autografe). Uno squarcio affascinante sui primi dieci anni di attività di un pittore ammirato da schiere di artisti venuti dopo di lui, da El Greco, Delacroix, Courbet… (catalogo Marsilio / Electa).

Di Jacopo Robusti, pittore dall’estro irrefrenabile, l’unico fra i grandi nato in laguna, chiamato Tintorello o Tintoretto dal padre tintore di panni di seta o perché di bassa statura, astro nascente della pittura veneziana dominata da Tiziano (acclamato in tutta Europa e conteso da principi e regnanti), che a vent’anni di definisce “depentor” la mostra dell’Accademia mette a fuoco gli esordi e il contesto. “Una mostra di un giovane per giovani”, la definisce Paola Marini che con Roberta Battaglia e Vittoria Romani ha curato la rassegna.

“Il disegno di Michel Angelo e ‘l colorito di Titiano” era scritto sul muro della propria bottega, ricorda il suo biografo seicentesco Ridolfi. Da un lato la priorità del disegno della scuola fiorentina, dall’altro quella del colore della scuola veneta. Michelangelo e Tiziano gli alfieri dei due poli estetici opposti e lui, Tintoretto, capace di sintetizzarli in un unico stile e un linguaggio estremamente moderno.

Alle opere di Tintoretto, realizzate fra i venti e i trent’anni, si affiancano prestiti provenienti dalle più importanti istituzioni pubbliche e private del mondo che documentano questa stagione cruciale della sua formazione, a cominciare dal 1538 anno in cui dà avvio a un’attività indipendente e prende in affitto una casa e studio nella parrocchia di San Cassiano. Fino al 1548 data della sua prima opera pubblica, lo strepitoso “Miracolo dello schiavo” per la Scuola Grande di San Marco, oggi conservato proprio all’Accademia. Ben presto comincia ad affermarsi nel panorama cosmopolita della Serenissima, una città crocevia di genti, lingue ed idee, dove nella prima metà del ‘500 sono giunti intellettuali ed artisti da tutta Europa.

La mostra dell’Accademia è l’anteprima della grande rassegna di Palazzo Ducale, da vedere in sequenza, che trasmette il senso rivoluzionario del cambiamento, della novità, della giovinezza. Seguendo un ordine cronologico articolato in quattro sezioni, il percorso indaga un periodo che rimane tuttora dibattuto, di cui si sa qualcosa grazie ai due biografi seicenteschi Marco Boschini e …Ridolfi che scrivono però mezzo secolo dopo. Tintoretto non è riconducibile a un maestro, a una scuola, è sostanzialmente un autodidatta. Nella bottega di Tiziano sarebbe rimasto solo qualche giorno, cacciato per gelosia dal maestro secondo Boschini, o per il suo atteggiamento da “spiritoso”, per Ridolfi. Così viene ricostruito il contesto in cui il giovane si muove, gli artisti che operano attorno a lui.

La prima sezione illustra il panorama delle ricerche pittoriche caratteristiche del periodo fra gusto raffaellesco, gigantismo michelangiolesco e modelli tizianeschi, grazie alla politica di rilancio di Venezia promossa dal doge Andrea Gritti che vede in laguna architetti e letterati del calibro di Sebastiano Serlio, Jacopo Sansovino, Baldassarre Peruzzi, Pietro Aretino. E artisti celebrati come Tiziano di cui sono in mostra la “Cena di Emmaus”, “Studio per la battaglia di Cadore” del Louvre. e il “San Giovanni Evangelista a Patmos” dalla National Gallery di Washington. Ma Tintoretto deve misurarsi anche con altri veneti come il Pordenone, Paris Bordon che dipinge per la Scuola Grande di San Marco un telero narrativo “La consegna dell’anello al doge”. Di destinazione pubblica anche “Il giudizio di Salomone” di Bonifacio Veronese che ornava il Palazzo dei Camerlenghi. E poi vi sono i toscani Vasari, Francesco Salviati giunto a Venezia con l’allievo Giuseppe Porta portatori di una cultura figurativa più intellettuale. In mostra le allegorie del soffitto vasariano di Ca’ Corner Spinelli. Ed ecco le prime superbe prove in cui colore, pennellate veloci e sciolte mostrano quanto diverso e nuovo sia il modo di trattare temi consueti. E’ il caso de “La conversione di San Paolo” di Washington. O gli ottagoni con le storie mitologiche per il soffitto di Palazzo Pisani a San Paternian, committente Vettore Pisani, oggi alla Galleria Estense di Modena, che Tintoretto realizza poco dopo il soffitto di Vasari e mentre Tiziano avvia i soffitti della chiesa di Santo Spirito. E i primi intensi ritratti. Come il “Ritratto di Nicolò Doria”, datato 1545, in collezione privata, riemerso di recente dal mercato antiquario, una delle prime prove di una lunga serie. Ma il clou si raggiunge nell’ultima sala. A coprire totalmente la parete di fondo è il capolavoro di un trentenne il “Miracolo dello schiavo” orgogliosamente firmata in basso “JACOMO TENTOR F[ecit]”. La prima opera dell’artista dipinta per la sala capitolare della Scuola di San Marco che segna una svolta, l’inizio di una carriera folgorante con quel santo che irrompe vorticoso dall’alto, spezza le armi del martirio e scompiglia la concitata folla degli astanti.

II percorso della mostra di Palazzo Ducale inizia con l’”Autoritratto” del Museo di Philadelphia, dipinto fra il 1546-47, in cui il giovane Tintoretto ci guarda dritto negli occhi, la testa girata come se l’avessimo interrotto nel lavoro. Gli occhi fulminanti, la barba e i capelli neri che incorniciano il volto trasmettono tutta la determinazione e l’ambizione del personaggio, pronto a sfìdare il mondo intero. Non c’è nessuna allusione al suo stato sociale, nessun dettaglio che lascia intravedere il tempo in cui venne realizzato con una pennellata libera e audace. Un modo di rappresentarsi lontano mille miglia da quello di Tiziano, formale e aristocratico. E si conclude con un altro “Autoritratto” da vecchio, quello del Louvre del 1588, messo in relazione con la morte dell’amatissima figlia Marietta e con la conclusione dapprima dei lavori nella Scuola Grande di San Rocco e poi del “Paradiso” nel “Palazzo Ducale”. Un ritratto frontale, malinconico, introspettivo, gli occhi infossati, le guance cascanti, in cui l’artista sembra meditare sulla morte. Un ritratto che Edouard Manet, il pittore della vita moderna, definì “uno dei più bei dipinti del mondo”.

Jacopo fu di gran lunga il più prolifico ritrattista veneziano del suo tempo, grazie anche alla sua efficiente bottega. Nel 1560 era “de facto” il ritrattista ufficiale di stato. Ma per molto tempo il ritrattista è stato sottovalutato, scrivono i due curatori. A causa della presenza di opere mediocri di bottega e perché avendo in mente le caratteristiche della sua pittura narrativa, i ritratti tendono a passare inosservati. Anche perché sono austeri, sobri, dimessi, privi di qualsiasi elemento in grado di interferire con il nostro coinvolgimento emotivo. Ad essi la mostra dedica un’ampia sezione. Fra i più significativi (molto noto nei paesi di lingua tedesca perché al centro del romanzo “Antichi maestri. Commedia” di Thomas Bernhard), l’ ”Uomo dalla barba bianca” 1555, una summa della ritrattistica di Tintoretto. Intensamente illuminato, emerge da un’ombra cupa, solo il viso e le mani, mirabilmente rese , sono illuminati, i capelli bianchi e la barba sono dipinti con delicati tocchi. E nessuna ostentazione o simbolo di potere o di ruolo.

Straordinario narratore e regista di azioni dipinte, colorista raffinato e audace, in grado di usare tutti i pigmenti disponibili nella Venezia del suo tempo, Tintoretto emerge qualunque sia il genere trattato, religioso o profano. Passa con naturalezza dai temi religiosi, al centro della sua riflessione, a quelli storici e mitologici di cui, grazie anche a eccezionali prestiti, la mostra offre esempi superbi.

“Il fascino esercitato da molti miti classici sull’arte della Venezia rinascimentale era dovuto alla loro capacità di ispirare approcci diversi che non si escludevano a vicenda e comprendevano comicità, erotismo e meditazione sull’arte”, scrivono i curatori in catalogo. E talune storie bibliche subivano lo stesso tipo di trattamento in una contaminazione di generi. “Nei dipinti di Tintoretto – scrive Henry James – la mitologia greca e quella cristiana in qualche modo si mescolano e ciò avviene con una prassi molto veneziana”. Come appare evidente in “Susanna e i vecchioni” in cui i riferimenti mitologici si accompagnano alla lezione morale. Una dea al bagno, bellissima, luminosa, consapevole di essere spiata dai vecchi, che invita ad associarsi a loro nel guardare. Viene dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, ma il primo proprietario conosciuto del dipinto fu il pittore francese Nicolas Régnier, residente a Venezia nel XVII secolo. E Dal Prado di Madrid, vengono “Giuditta e Oloferne” e “Giuseppe e la moglie di Putifarre” che nel 1651 Diego Velazquez acquista a Venezia per il re Filippo IV di Spagna. “

La parte più consistente della produzione artistica di Tintoretto fu la pittura a soggetto religioso.. Come un abile regista sapeva mettere in scena, nei Teleri narrativi di formato molto grande, storie edificanti, con grandi masse in movimento, protagonisti e comparse in grado di suscitare con i loro gesti meraviglia e ammirazione. Come accade con “San Marziale in gloria fra San Pietro e San Paolo” con quelle figure imponenti o in “Sant’Agostino risana gli sciancati” in cui è il corpo umano muscoloso a dare significato alla scena.

Molto interessante la sezione dedicata al disegno, che era importante per Tintoretto anche se Vasari nella seconda edizione delle “Vite”(1568 ) scrive che lavorava in modo capriccioso “senza disegno”. E riferisce che ai responsabili della Scuola Grande di San Rocco non presentò un modello su carta, come richiesto, ma una tela rapidamente dipinta , dicendo che quello era il suo modo di procedere. Eppure, come si vede in mostra, Tintoretto fu un disegnare assiduo del corpo umano maschile ripreso in una grande varietà di pose. E risulta che disegnasse sulla base di modelli scultorei con carboncino e delicate lumeggiature bianche su carta azzurrina.

Di grande interesse la sezione dedicata al modus operandi del pittore. Audaci, dinamici, contraddistinti dalla libertà delle pennellate, i dipinti di Tintoretto erano diversi da quelli dei suoi contemporanei. In tre sale, seguendo il suo processo creativo, attraverso disegni, dipinti, dati tecnici, si cerca di entrare nell’officina del genio e scoprire che cosa si nasconde dietro la sua maestria. In taluni casi anche il riutilizzo di tele già dipinte.

Venezia Fino al 6 gennaio 2019

Palazzo Ducale “Tintoretto 1519-1594” – Orario: fino al 31 ottobre 8.30-19.00; dal 1 novembre ’18 al 6 gennaio ’19 ore 8.30-17.30

Galleria dell’Accademia “Il Giovane Tintoretto”- Orario: lunedì 8.15-14.00; martedì-domenica 8.15-19.15 (chiusura 25 dicembre e 1 gennaio)

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