Insieme agli amici Mario Schifano, Renato Mambor e Francesco Lo Savio, Cesare Tacchi era stato ammesso alla ‘Rassegna di arti figurative di Roma e del Lazio’ ospitata nel Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1958. A sessant’anni esatti torna nello stesso Palazzo con una grande retrospettiva che passa in rassegna tutto il suo percorso creativo dando lustro all’artista e illuminando con lui un periodo particolarmente fertile della storia dell’arte del nostro recente passato. Gli anni Sessanta sono espressione di una società in forte e rapida crescita e trasformazione, gli anni del boom economico, delle grandi migrazioni interne che lo sviluppo dell’automobile come mezzo privato non più d’élite e l’Autostrada del Sole sollecitano e favoriscono. In questo periodo di grande vitalismo, sotto la spinta della pubblicità e dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, nascono nuovi linguaggi, soprattutto legati all’immagine. E si formano gruppi di giovani artisti che hanno in comune una certa visione dell’arte che sta rapidamente cambiando pelle. A Roma, negli anni ’60 centro del panorama artistico nazionale e internazionale, nasce la ‘Scuola di Piazza del Popolo’. Non un movimento quanto piuttosto un insieme di atteggiamenti e modalità espressive attente alla sperimentazione, alle suggestioni del quotidiano e della società moderna. La definizione ‘Scuola di Piazza del Popolo’ è di Maurizio Calvesi che nel ’90, proprio al Palazzo delle Esposizioni, metteva a fuoco l’ambiente artistico romano di quegli anni di ricerche che partite dalla sperimentazione pittorica, sconfinarono in modalità extrapittoriche, video e film compresi. Del gruppo formato da Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Giosetta Fioroni, Pino Pascali, Francesco Lo Savio, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Cesare Tacchi (1940 ‘ 2014) è forse il meno conosciuto dal grande pubblico. Ben venga quindi la mostra monografica a lui dedicata, curata da Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi, accompagnata da un ricco e accurato catalogo edito dal Palazzo delle Esposizioni. E’ Un omaggio della città al suo illustre cittadino che offre, attraverso le vicende dell’artista, una panoramica sul mondo dell’arte del tempo e una testimonianza indiretta di atteggiamenti, atmosfere, tensioni di cinquant’anni di vita italiana.
‘Cesare Tacchi è un giovane solitario silenzioso e castigato e, a ciò è dovuta la sua pittura; pittura piuttosto di equivalenze di attese di personaggi che rifiutano parlare e guardare’, scriveva Mario Seccia, giovane critico come il pittore, a proposito di una mostra del ’59 alla Galleria Appia Antica che vedeva Tacchi insieme agli amici di una vita, Mambor e Schifano.
La mostra di oggi che presenta un centinaio di opere, grazie a generosi prestiti dei collezionisti e al contributo della Fondazione Tacchi, è ordinata in senso strettamente cronologico. Ma prima delle opere, esposte in sette sale attorno alla rotonda, foto e materiali d’archivio forniscono al visitatore l’inquadramento generale del personaggio e degli anni in cui opera. In un’intervista del 2005 Tacchi parla del suo percorso che ‘non è stato lineare’, fatto di espressioni diverse, ma volendo dire ‘sempre la stessa cosa’, mettersi in comunicazione con l’altro diverso di sé. ‘Ed è questo il filo rosso da seguire, questo l’insegnamento più prezioso dato alla sua generazione e a quelle di oggi e di domani’, afferma Daniela Lancioni.
La rassegna ha inizio dalle opere degli esordi che rivelano le influenze, i punti di riferimento. Da Burri, a Fautrier visto forse alla ‘Galleria L’Attico’, a Kline che nel ’57 aveva esposto a &ldqo;Galleria La Tartaruga’. Rintracciati questi debiti visivi verso la cultura precedente, il problema da risolvere era come superare l’informale. Ed ecco le prime opere organizzate per piani geometrici, ecco le sculture di legno dipinto, in giallo, rosso, verde a colori brillanti. Ecco i disegni geometrici tratti dalla vita contemporanea, ‘Standa’, ‘Café do Brasil’, ‘Upim’. Una ricerca che approda nel ’62 alla scoperta del mondo delle macchine da corsa amate dal fratello Claudio orafo di professione. ‘Un mondo pulsante’ che Tacchi ritrae per frammenti. Forme sinuose, accattivanti, che rimandano a una società vitale e positiva. Tacchi prima fotografa, poi disegna e quindi dipinge le immagini che richiamano alla mente quelle della pubblicità. Sono smalti su carta incollata su tela che rappresentano accanto alle auto da corsa, i mezzi pubblici come la ‘Circolare rossa’, individuabili dalla livrea verde profilata dai colori di Roma, giallo e rosso. In trasparenza dai finestrini si vedono i passeggeri sorretti ‘agli appositi sostegni’.
Il 1963 è un anno importante, a piazza del Popolo 3, sopra il Bar Rosati dove s’incontravano artisti e intellettuali italiani e stranieri di passaggio in città, ‘La Tartaruga’, la galleria di Plinio De Martis inaugura la sua nuova sede con una mostra di 13 pittori fra cui ci sono Rotella, Kounellis, Perilli, Twombly e Tacchi. Il ’63 è anche l’anno del ‘Gruppo ’63’ dei poeti ‘novissimi’, che verranno accostati ai pittori.
Tacchi continua nel suo percorso di ricerca passando dal ciclo dei quadri estroflessi ai quadri a rilievo, che costituiscono nel ’64 l’approdo più noto e importante della sua creatività. Sono le cosiddette e famose ‘tappezzerie’.
La tecnica è sempre la stessa. L’immagine tratta da una fotografia viene proiettata sulla tela o sulla stoffa che il pittore poi disegna nei contorni e dipinge. Quindi la tela o la stoffa, a fiori, a righe, sono montate su una tavola di legno con una imbottitura non uniforme ma distribuita secondo l’immagine che rappresenta, fermata sul retro con chiodi e punti metallici alla maniera delle poltrone. L’effetto alla vista è quello detto ‘capitonnè’. Ed ecco ‘Poltrona gialla’, ‘Poltrona rossa’, ‘Renato e poltrona’, ‘Sul divano a fiori’, ‘Paola e poltrona’, ‘Sul letto (pensando a un prato)’.
In un mondo che va di corsa, l’artista propone una realtà opposta. E’ l’elogio dell’amicizia, della convivialità, dell’ozio. E gli amici sono Renato Mambor, Paola Pitagora, Mario Ceroli, fidanzati e coppie felici, ma anche personaggi celebri come i Beatles che erano in Italia nel ’65 e a Roma tennero un concerto che fece epoca al Teatro Adriano. L’opera più impegnativa della serie delle tappezzerie per grandezza e complessità delle figure, conservata a Reggio Emilia presso la Collezione Maramotti, ovvero Max Mara, è ‘ Primavera allegra’ dello stesso anno, una citazione colta da Botticelli, che gioca col tempo. Mentre in ‘Cleopaolina’ sempre del ’65 unisce alle sollecitazioni antiche quelle del presente. Sul corpo disteso di Paolina Borghese di Canova inserisce il volto di una diva di Hollywood come Elisabeth Taylor protagonista del film ‘Cleopatra’. Potrebbe sembrare l’agognato approdo dell’artista, ma non è così.
Cambiano gli umori e arrivano i mobili impossibili, le sedie improbabili, le poltrone in cui non ci si può sedere. La sua ricerca prosegue e si arriva al’68, un anno cruciale sotto tanti punti di vista, anche per Tacchi. A ‘La Tartaruga’ nel maggio di quell’anno Plinio De Martis lancia il ‘Teatro delle mostre’, venti mostre teatrali, ciascuna rassegna della durata di un giorno. Celebre la ‘Cancellazione d’artista’, la performance di Tacchi. Che, dietro una lastra di vetro illuminata, la dipinge fino a scomparire alla vista del pubblico. A cancellare l’artista e l’arte. In mostra l’opera conservata dalla figlia di De Martis, le foto e la locandina che annunciava l’avvenimento a firma Tacchi.
Affrontare la sua opera posteriore alla ‘Cancellazione d’artista’ significa addentrarsi in una produzione rimasta sempre meno esplorata rispetto al primo decennio, legato alla Scuola di Piazza del Popolo che lo ha accreditato presso il grande pubblico come ‘artista pop’ o ‘artista delle tappezzerie’, scrive in catalogo Ilaria Bernardi. Una produzione estremamente eterogenea, sculture, performance, installazioni, scritti, disegni su carta, pittura su tessuto stampato e rilievo, progetti rimasti incompiuti, sperimentazioni di vari linguaggi di cui Tacchi era pienamente cosciente invitando a ‘zigzagare’ fra le sue opere.
In mostra una scelta significativa di creazioni di stampo ‘concettuale’ dei primi anni Settanta in cui la possibilità di comunicare sconfina in una dimensione definita ‘afasica’ per tornare a una possibilità di relazione con l’altro quando Tacchi propone un’azione opposta a quella della ‘Cancellazione’ che viene documentata dalle foto di
Elisabetta Catalano. L’artista, dietro una lastra precedentemente dipinta di bianco, elimina pian piano il colore con un panno fino a riapparire. In un video registrato durante gli Incontri Internazionali d’Arte di Roma si vede Tacchi che bacia il pavimento percorrendolo carponi per riappropriarsi dello spazio e fare pace con l’arte e i suoi strumenti primari di cui è simbolo ‘Sécrétaire’, un dipinto a olio costituito da tre piani distinti esposto alla ‘Galleria La Salita’ nell’80. Seguiranno altri quadri a olio, come ‘Della pittura’, ‘Uccel di bosco’, ‘Lo spirito dell’arte’, corrispondenti ad alcune tappe importanti del percorso del pittore che da ‘testimone passivo di una pittura piena di segreti’ prende la tavolozza in mano, si mostra autore e può dichiararsi ‘spirito d’artista’. Nell’ultima sala il ritorno alla pittura e ai suoi segreti in cui recupera elementi di opere precedenti. E un autoritratto su carta proiettato nel passato, nel presente e nel futuro ‘Come ero, come sono, come sarò’. In mostra una serie di lavori con elementi modulari, dipinti coloratissimi e di grande formato, espressione della ricerca del piacere. ‘Zigzagando col colore secondo i canoni della pittura’, si potrebbe dire,prendendo a prestito il titolo di un dipinto a olio del ’97.
Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194 Roma. Orario: 10.00-20.00; venerdì e sabato 10.00-22.30; chiuso il lunedì. Fino al 6 maggio 2018. Informazioni: tel. 06-39967500 e www.palaexpo.it